15/06/2015 di Redazione

Amazon, operazione trasparenza: “Mai partecipato a programma Nsa”

Il colosso statunitense pubblica, per la prima volta nella sua storia, un report dettagliato in cui elenca le volte che ha ceduto dati e informazioni degli utenti alle forze dell’ordine o al governo. Ma si chiama fuori dallo scandalo della sorveglianza ma

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Dopo numerose pressioni, qualcosa si è messo nel mondo di Amazon. Il gigante dell’e-commerce e del cloud ha pubblicato il primo report con i dettagli di tutte le richieste giudiziarie o governative, legate alla cessione di informazioni degli utenti, che ha ricevuto negli ultimi sei mesi. È un’operazione trasparenza quella messa in campo dalla società guidata da Jeff Bezos, che rimane comunque l’ultima compagnia della lista Fortune 500 ad aver agito in questa direzione. Lo scandalo della sorveglianza massiva realizzata dalla National Security Agency (Nsa) statunitense è ancora caldo e l’azienda prova così ad allontanare dubbi e sospetti su eventuali richieste provenienti dallo spionaggio a stelle e strisce. “Amazon non ha mai partecipato al programma Prism della Nsa”, si legge in un post su Internet scritto da Stephen Schmidt, Chief information security officer di Amazon Web Services.

Non rimane che da credergli, anche perché l’azienda non può comunicare il numero esatto di richieste ricevute che hanno a che fare con la sicurezza nazionale, comprese quelle legate al Foreign Intelligence Surveillance Act (Fisa): norma introdotta originariamente nel 1978 per la sorveglianza fisica ed elettronica, poi modificata nel 2001 con l’introduzione del famigerato Patriot Act.

In totale, quindi, dal primo gennaio al 31 maggio 2015, Amazon ha ricevuto 813 mandati di comparizione in tribunale per fornire prove. In 542 casi, la società ha fornito tutte le informazioni richieste, in 126 ha risposto in modo parziale e in 145 non ha invece dato seguito all’atto giuridico. Dal punto di vista dei mandati di perquisizione, Amazon ne ha registrati 25 e ha risposto in modo esaustivo a 13.

Alla voce “ulteriori ordini della corte”, che includono altri provvedimenti emanati da tribunali locali, del singolo stato o federali, il colosso Usa fa sapere di avere risposto in modo affermativo in quattro casi su 13. Si è trattato, ad esempio, della rimozione di account o di dati specifici di alcuni utenti. Il report indica poi con un numero variabile da zero a 249 le richieste legate alla sicurezza nazionale: come detto, Amazon non può riportare il dato esatto.

Corposa anche la sezione dedicata agli ordini ricevuti da enti e istituzioni non statunitensi. Su 132 casi, la compagnia guidata da Bezos ha passato tutte le informazioni 108 volte, rifiutandosi di agire in 17 situazioni. Soltanto una, invece, la richiesta di rimozione giunta ad Amazon, che è stata poi processata e portata a termine. La prima mossa “trasparente” del colosso di Seattle potrà forse garantirgli un migliore ranking nella speciale classifica realizzata annualmente dalla Electronic Frontier Foundation (Eff).

 

 

La Eff pubblica infatti un documento legato alle modalità con cui i giganti del Web trattano i dati e la privacy dei consumatori. Amazon, negli ultimi quattro anni, si è sempre piazzata in fondo alla graduatoria, guadagnandosi solo due stelle su sei. Ma il report sulla trasparenza, unito anche alla recente scelta di iniziare a pagare le tasse nei Paesi europei dove opera, permetterà forse all’azienda di invertire il giudizio.

 

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