13/03/2014 di Redazione

Aziende smarrite nella giungla delle applicazioni

Uno studio di Capgemini evidenzia come il sistema delle applicazioni utilizzate nei contesti di lavoro stia diventando sempre più complesso. Oggi il 48% degli decisori It in Europa, Usa, Brasile e Asia, crede che le soluzioni in uso siano troppe e non sem

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Il troppo stroppia, anche quando si parla di applicazioni aziendali. Il proliferare di soluzioni, costruite in casa o utilizzate attraverso servizi cloud, negli ultimi anni è stato tale e tanto diversificato da creare una vera e propria “giungla” in cui i responsabili It e dipendenti a volte si perdono. È questo il principale risultato emerso da uno studio di Capgemini, Application Landscape Report 2014, realizzato a tre anni dall’edizione precedente. Dal 2011 a oggi, sull’onda di cloud, mobilità e Big Data, lo scenario è decisamente cambiato: la tecnologia è emersa più chiaramente come motore di business e come abilitatore di innovazione, ma in molti casi la situazione sembra essere sfuggita di mano all’It.

L'opinione dei Cio in merito all'utilità delle applicazioni presenti in azienda (clicca sull'immagine per ingrandire)


Negli ultimi tre anni il numero di professionisti It che ritiene che la propria azienda abbia più applicazioni di quante in realtà ne necessiti è passato da poco più di un terzo degli intervistati dell’indagine del 2011 (34%) a quasi la metà (48%) di quelli di quest’anno, circa 1.100 fra Cio e decisori It top-level di organizzazioni europee, statunitensi, australiana, cinesi, indiane e brasiliane. Solo il 37% crede che la maggior parte delle loro applicazioni siano mission-critical, mentre il 73% ritiene che almeno un quinto delle applicazioni abbiano funzionalità simili. E c’è poi un 57% di intervistati che arriva a dire che un’applicazione su cinque andrebbe addirittura eliminata o sostituita.

Insomma, bisogna fare pulizia, senza tuttavia negare il valore veicolato da alcune applicazioni. Tra le conclusioni evidenziate dall’indagine c’è il fatto che l’It, oggi più che in passato, svolge un ruolo strategico per il business sia in senso convenzionale (cioè di riduzione dei costi), sia in termini di innovazione.

“In un mondo in cui gli aspetti di un’organizzazione stanno cominciando ad abbracciare la digital transformation, e dipendono dalla rapida implementazione di soluzioni mobile, social, Big Data e cloud per il vantaggio competitivo, un ambiente di applicazioni ben razionalizzato diventa improvvisamente un imperativo strategico e molto importante per l'intera azienda”
, ha commentato il Ceo di Capgemini Italia, Maurizio Mondani.

“Nel mondo ideale di un Cio”, recita il report, “lo scenario delle applicazioni rifletterebbe precisamente gli obiettivi e la gestione del business aziendale. Nella realtà, invece, c’è sempre un gap fra le necessità e le ambizioni dell’organizzazione, da un lato, e la misura in cui il portfolio delle applicazioni è in grado di affrontarle. Ridurre il più possibile questo gap potrebbe sembrare piuttosto semplice, ma è in realtà un lavoro enorme, che richiede una visione strategica di lungo termine e una pianificazione supportata da azioni concrete”.

In merito a tal “gap” fra obiettivi di business ed efficacia delle applicazioni, Capgemini cita due questioni. Una è di tipo economico: già nell’edizione del 2011 dell’Application Landscape Report i Cio apparivano sotto pressione nel tentativo di mantenere e supportare l’esistente portafoglio di applicazioni legacy rispettando i budget It. L’altro problema riguarda la complessità del far convergere e dell’armonizzare fra loro soluzioni eterogenee. Razionalizzare il parco delle app, insomma, non è un'operazione da poco.


Oggi lo scenario è cambiato, o meglio si è inasprito. “Il peso dello scenario applicativo”, sottolinea il report, “sta raggiungendo una massa critica. Tecnologie distruttive hanno fatto la loro comparsa. Oggi non bisogna più chiedersi se razionalizzare, ma piuttosto quando e come farlo”.

Quanto i manager comprendono lo scenario delle app? Solo per il 15% dei Cio la risposta è "troppo poco"


Nonostante la diffusa consapevolezza di quanto la razionalizzazione sia necessaria e nonostante i tentativi fatti dai Cio, solo poche aziende sono già riuscite a sfrondare qualche qualche pianta nella “giungla” delle applicazioni, consolidando quelle mission critical ed eliminando quelle duplicate o non essenziali. A complicare la situazione c’è anche il crescente numero delle soluzioni Software-as-a-Service acquistate non dai dipartimenti It (più consapevoli del problema della proliferazione) bensì direttamente dalle business unit interessate a usarle.

Va anche detto, tuttavia, che rispetto a tre anni fa oggi un maggior numero di applicazioni è valutato come mission critical e questo può indicare, almeno in parte, un miglioramento della composizione del portfolio; indica, inoltre, che le aggiunte più recenti sono percepite come maggiormente in grado di apportare valore di business.

Capgemini complete il quadro con alcune raccomandazioni, utili per limitare le complicazioni e la moltiplicazione dei costi legate a un portfolio di applicazioni troppo ampio e ridondante. La prima è l’utilizzo sistematico di dati e metriche per migliorare il dialogo fra il dipartimento It e il business: maggiore è la comprensione reciproca, maggiori le possibilità di utilizzare in modo produttivo ciò che si risparmierebbe razionalizzando il parco applicativo. Gli altri consigli sono quelli di industrializzare e standardizzare il più possibile le applicazioni; considerare scenari di razionalizzazione più radicali; fare leva sulle soluzioni next generation; includere l’innovazione nel ciclo di vita delle applicazioni.

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