03/03/2015 di Redazione

Azionisti scatenati contro Ibm per la vendita (in perdita) dei chip

Negli Usa si è aperta una class action che chiede a Big Blue risarcimenti per i 18 miliardi di dollari persi dai titoli in seguito al passaggio della divisione semiconduttori a GlobalFoundries. Un business in rosso ma il cui valore sarebbe stato falsifica

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Ibm naviga in acque agitate a causa dei semiconduttori: negli Stati Uniti, gli azionisti hanno aperto una class action che contesta le modalità di vendita dei processori Power a Globalfoundries. Un passaggio di consegne avvenuto lo scorso ottobre, e che riguarda sia gli impianti produttivi sia la proprietà intellettuale legati a una linea di attività che da tempo procurava a Big Blue solo dispiaceri: circa 1,5 miliardi di dollari di perdite all’anno.

Ibm aveva dunque accettato di corrispondere una pari cifra di 1,5 miliardi di dollari alla società che si è fatta carico di un business in perdita. In base all’accordo siglato l’autunno scorso, inoltre, la fonderia sarà per prossimi dieci anni il fornitore di chip a 22, 14 e 10 nanometri di Ibm.

Come si è arrivati alla class action? Le premesse affinché qualcosa di spiacevole potesse accadere erano già nell’aria, dal momento che (secondo fonti non ufficiali) GlobalFoundries sarebbe stata interessata solo ai brevetti e agli ingegneri del colosso di Armonk, non alle sue fabbriche e impianti ormai datati. Niente di tutto ciò è stato ammesso pubblicamente, ma anzi Big Blue nel report finanziario precedente alla vendita aveva valutato 2,4 miliardi di dollari una divisione che, evidentemente, valeva molto meno.

Questa, se non altro, è l’accusa al centro della causa collettiva, presentata a Manhattan dal City of Sterling Heights Police & Fire Retirement System del Michigan, uno fra gli azionisti Ibm. A Big Blue si contesta la malafede nell’aver gonfiato il valore del ramo d’azienda ceduto, nonché il conseguente crollo in Borsa: nei due giorni successivi alla vendita, il titolo è calato del 9%, bruciando 18 miliardi di dollari di valore in mano agli azionisti.

In tutto questo, è giusto sottolineare che manca ancora una replica ufficiale di Ibm. L’amministratore delegato, Ginni Rometty, e altri due dirigenti di Ibm figurano fra i testimoni della difesa.
 

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