Probabilmente, tutti gli utenti del Web avranno imprecato più volte nel veder comparire nel browser finestre indesiderate con sconti per la vacanza da sogno o l’ultimo modello di cellulare. Purtroppo, è il destino comune del navigatore, che cede più o meno consapevolmente dati sulle proprie preferenze quando digita stringhe di ricerca su Google, Yahoo e su una miriade di altri siti. Ma ora la Germania potrebbe aver incoronato tutti quei software che bloccano i banner pubblicitari durante la navigazione Internet. Il tribunale di Amburgo ha infatti dato ragione ad AdBlock Plus, estensione per i principali browser in grado di silenziare la pubblicità, trascinata in tribunale dagli editori di diversi quotidiani tedeschi tra cui Die Zeit e Handelsblatt.
Le testate giornalistiche sostenevano che il plug-in fosse un prodotto anti competitivo, in grado di minacciare il fatturato dei media in seguito ai blocchi di pubblicità legale. Ma non solo: gli editori parlavano addirittura di estorsione, accusando lo sviluppatore teutonico Eyeo di mettere in pratica meccanismi illeciti per costringere i gestori a pagare per uscire dalla blacklist.
Il vero oggetto della sentenza, infatti, è stata la cosiddetta whitelist, che include tutti quegli spot catalogati come “accetable ads”: le compagnie che diffondono pubblicità non riprovevole possono avviare una pratica tramite Eyeo per tornare a essere visibili. Sin qui, tutto normale. Fino a quando qualche azienda non ha alzato un polverone, dichiarando che gli sviluppatori di AdBlock Plus in certi casi avrebbero addirittura chiesto il trenta per cento dell’eventuale fatturato generato dagli spot.
A quanto pare, la corte di Amburgo non ha ritenuto provate né queste accuse né le istanze portate avanti dai quotidiani tedeschi. Ma, ovviamente, la guerra pubblicitaria non è finita: secondo la Bbc, gli editori stanno già preparando l’appello. Si vedrà se il secondo round darà ancora ragione agli spazzini dell’advertisement oppure no.