Un miliardo e 56 milioni di dollari di investimento, fra acquisizione
di brevetti (circa 800) e la licenza d’uso (non esclusiva) di altri 300
patent relativi a diverse tecnologie (dalla pubblicità alle mappe
digitali) fra cui si dice vi siano anche quelle di Netscape, la società
dell’omonimo browser Web che negli anni ’90 dava del filo da torcere a
Internet Explorer. Questo il succo dell’operazione che ha portato
Microsoft a definire un accordo con America Online, ex colosso di
Internet made in Usa negli anni prima dello scoppio della bolla della
net economy.
Come si inquadra l’operazione nell’economia della
strategia Web di Microsoft, al cui attivo c’è una partecipazione di
minoranza (l’1,6% delle quote) in Facebook e l’accordo stretto con
Yahoo! per i servizi di search advertising? Come un guanto di sfida che
Redmond lancia più o meno esplicitamente in direzione di Google, che
proprio per acquisire una consistente base di brevetti ha acquisito la
scorsa estate Motorola Mobility mettendo sul tavolo 12,5 miliardi di
dollari? O come una mossa da valutare come ripiego per l’impossibilità
di comprarsi in modo definitivo una società con asset importanti nel
campo delle tecnologie Internet?
Di sicuro c’è innanzitutto
il fatto che Aol aveva da almeno un mese incaricato la banca d’affari
Evercore Partners e Goldman Sachs per vendere gli 800 brevetti di cui
sopra con l’intento di dare respiro a un bilancio che per l’esercizio
fiscale 2011 si è chiuso con utili di soli 13 milioni di dollari al
cospetto di un fatturato di oltre 2,2 miliardi.
Tornando alle
motivazioni che avrebbero indotto il gigante di Redmond
all'investimento, molti addetti ai lavori americani sono dell’idea che
alla base dell’operazione non ci sia, essenzialmente, la volontà di
rimpinguare il proprio portfolio di brevetti. Il cassiere di Microsoft,
questo è certo, dovrà sborsare circa 1,25 milioni di dollari per ogni
proprietà intellettuale acquisita. Tanti, pochi? Dipende ovviamente dai
punti di vista. Resta il fatto che i brevetti di Aol, oltre che un po’
datati, non sembrano essere particolarmente interessanti - almeno una
buona parte - né per il gigante del software né per altre aziende
tecnologiche.
C’è però un particolare che non è sfuggito agli
analisti di MDB Capital Group: nelle dispute legali che l’hanno vista
coinvolta, la società di Redmond ha citato i brevetti di Aol più volte
di quanto non abbia fatto la stessa Aol per difendere la propria
proprietà intellettuale (1.331 volte contro 1.267 il calcolo in
dettaglio) e di quanto non abbiano fatto altre aziende del firmamento
hi-tech (nell’ordine Ibm, At&t, Yahoo! e Google).
In altre
parole, Microsoft avrebbe profumatamente pagato l’accordo con il
provider Internet non tanto per la rilevanza tecnologica dei brevetti
quanto per evitare che gli stessi potessero finire nelle mani di una
delle sue grandi rivali, a cominciare – l’osservazione è di Erin-Michael
Gill, managing director e Chief intellectual property officer di MDB –
proprio da Google.
Messi in tasca i brevetti di Aol, la casa di Redmond
potrebbe quindi meglio rintuzzare gli eventuali nuovi attacchi in carta
bollata di Google sul fronte dei sistemi operativi (Android e Chrome),
monetizzare il nuovo accordo offendo in licenza i brevetti acquisiti ai
produttori di dispositivi (perseguendo la politica degli accordi già
stretti con Htc e Lg e quello ancora da finalizzare con Samsung) e avere
più frecce al proprio arco nelle battaglie legali contro le aziende che
invece non hanno voluto accettare le condizioni di licensing delle
tecnologie protette da suoi brevetti. Come nel caso di Barnes &
Nobles e Motorola.