07/03/2016 di Redazione

Cinque atomi e grandi ambizioni per il computer quantistico del Mit

Un nuovo sistema creato dal Massachusetts Institute of Technology insieme all’Università di Inssbruck utilizza soli cinque atomi, una trappola ionica e impulsi laser per applicare l’algoritmo matematico di Shor. Per la prima volta, il sistema è scalabile:

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Con una dotazione minima di cinque atomi, il computer quantistico del Mit illlumina la via per eseguire, in futuro, calcoli stratosferici e per decifrare i segreti della crittografia. Un nuovo progetto congiunto del Massachusetts Institute of Technology e dell’Università di Inssbruck è approdato alla realizzazione di un “quantum computer” in grado di eseguire calcoli matematici con soli cinque atomi e che, a differenza di sistemi precedenti, può scalare verso l’alto per diventare più abile e veloce. Facciamo un passo indietro per spiegare che i computer quantistici sono sistemi ancor più ambiziosi dei normali “cervelloni” di High Performance Computing, aggregati cluster che sfruttano il calcolo parallelo per scopi di indagine scientifica, medica, matematica, meteorologica e altro ancora.

I sistemi quantici si distinguono perché il loro alfabeto non è quello binairio dei bit, che possono assumere valore 0 o 1, bensì quello dei qbit. Questi ultimi, per la proprietà della sovrapposizione, possono assumere allo stesso tempo entrambi i valori: dunque un singolo qbit può portare avanti due flussi di calcolo in parallelo, rendendo il processo più veloce ed efficiente. Diversi big mondiali stanno coltivando questo terreno, investendovi grosse risorse e in parte con il finanziamento di enti governativi come la Intelligence Advanced Research Projects Activity statunitense, Iarpa. Tra i beneficiari di quest’ultima spicca Ibm, azienda che la scorsa primavera ha ottenuto alcuni successi teorici (ha dimostrato la possibilità di rilevare e misurare entrambe le tipologie di errori quantistici contemporaneamente) e pratici (ha realizzato un nuovo circuito quantistico quadrato).

Google, invece, a braccetto con la Nasa ha acquistato per diversi milioni di dollari uno dei tre esemplari in circolazione di D-Wave 2X, seconda generazione del computer quantistico della canadese D-Wave Systems. Mentre il primo modello, lanciato nel 2013, utilizzava su 512 qubit, quello più recente può contare su 1.097 qubit. Anche Intel, in collaborazione con un’università e un istituto di ricerca olandesi, nel 2015 ha avviato un progetto di ricerca decennale il cui fine ultimo è la costruzione di una macchina quantistica in grado di eseguire simulazioni complesse, come l’analisi finanziaria su larga scala o la creazione di nuovi farmaci. Microsoft condivide il medesimo orizzonte temporale: ci vorranno almeno dieci anni, secondo uno studio della società di Redmond, per assistere alla diffusione di sistemi quantistici di dimensioni contenute e dai prezzi accessibili.

Il nuovo successo del Mit rappresenta una tappa importante in questo percorso. Il sistema realizzato utilizza cinque atomi inseriti in una trappola ionica, cioè in un dispositivo che “cattura” gli ioni attraverso campi magnetici ed elettrici; degli impulsi di luce laser permettono di applicare ai cinque atomi l’algoritmo di fattorizzazione di Shor, creato negli anni Novanta dall’omonimo matematico e informatico.

Con questo algoritmo, un computer può individuare i numeri primi all’interno di un numero, con complessità incrementale all’aumentare delle cifre. Alcune implementazioni della formula di Shor all’interno di Pc quantistici già esistono (per esempio, per opera di Ibm) limitatamente a piccoli numeri, e anche il sistema creato dal Mit la applica alla fattorizzazione del 15. Un calcolo che può essere eseguito anche a mente, e infatti non risiede qui l’importanza del nuovo computer quantico: risiede nel fatto che tale sistema, a differenza dei precedenti, è più facilmente scalabile. In altre parole, è progettato in modo da permettere l’aggiunta di ulteriori atomi e impulsi laser.

 

Un chip di D-Wave

 

A detta di Isaac Chuang, docente di Fisica, di Ingegneria elettronica e di Informatica del Mit, “abbiamo dimostrato  di poter implementare l’algoritmo di Sohor, il più complesso algoritmo quantistico conosciuto, in un modo che consente di creare sistemi più grandi semplicemente andando in laboratorio e aggiungendo tecnologia”. Chuang, che già aveva tentato l’impresa nel 2001 (ottenendo però, all’epoca, un sistema non scalabile), specifica che realizzare un oggetto che esegua calcoli più complessi costerebbe moltissimo. Certo, il prossimo computer quantistico “non comparirà sulle vostre scrivanie da un momento all’altro”, ammette il ricercatore, “ma adesso questo dipenderà soprattutto da problemi ingegneristici, e non di fisica”.

Il prossimo passo sarà quello di salire dalla fattorizzazione di un numero a due cifre, come il 15, a quella di un numero a tre cifre. Guardando più lontano, attraverso sistemi composti da centinaia o migliaia di qbit e da migliaia di impulsi laser, la prospettiva è quella di poter creare delle potenti “macchine decrittografiche”, per così dire, dal momento che molti algoritmi di encryption si basano sulla fattorizzazione.

 

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