12/03/2015 di Redazione

Con i Big Data si cresce, ma per gestirli servono mani esperte

Due studi, commissionati da Capgemini, Emc e Bsa, parlano chiaro: per la maggior parte dei manager saper analizzare i dati è un prezioso valore aggiunto. Ma serpeggia il timore di non saper ancora capitalizzare di questa fortuna, soprattutto in Italia. Ca

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Il mercato ruota ormai attorno ai dati. O, meglio, si nutre delle informazioni che è possibile estrapolare dall’enorme mole di byte generata ogni giorno a livello globale. La maggior parte delle imprese è consapevole di questo scenario e dei cambiamenti imminenti che i Big Data porteranno nel mondo aziendale. I dati in possesso delle organizzazioni stanno diventando infatti un valore fondamentale per sei compagnie su dieci: aiutano a ridurre i costi, a migliorare le performance attuali o permettono di entrare in nuovi mercati. Ma com’è il feeling tra le società e le nuove tecnologie di analisi? I due terzi delle imprese ammettono la situazione precaria e riconoscono il pericolo di perdere terreno, in caso non riescano a velocizzare il passo sui Big Data. La preoccupazione ha delle fondamenta solide, se si considera che il 90% di tutti i dati del mondo sono stati creati solo negli ultimi due anni e che ottanta miliardi di sensori saranno attivati entro il 2020.

Le più avvantaggiate sono le realtà giovani, fresche e dinamiche per definizione, che stanno erodendo i margini di guadagno dei “dinosauri”, più lenti nel cambiamento. Almeno secondo lo studio Big & Fast Data: The Rise of Business Insight-Driven, promosso da Capgemini ed Emc e condotto da FreshMinds su oltre mille manager in dieci Paesi.

Un’azienda su due si aspetta di dover affrontare a breve la diretta concorrenza delle cosiddette startup data enabled: un dato che suggerisce come la padronanza nell’analisi delle informazioni sia ormai fondamentale per il successo e, addirittura, per la mera sopravvivenza. Per questo, secondo la ricerca, il 32% delle aziende ha già introdotto o sta per introdurre nuovi ruoli manageriali per la gestione dei dati e oltre la metà è pronta a investire più che in passato.

 

Fonte: Big & Fast Data: The Rise of Business Insight-Driven, FreshMinds

 

I decisori sono quindi abbastanza concordi nel considerare gli analytics come strumenti importanti per una serie di scopi, tra cui migliorare i servizi ai clienti, creare nuovi prodotti, trovare altri mercati e aumentare i ricavi. Un’ulteriore conferma arriva da un’altra ricerca, condotta da Ipsos Public Affairs per Business Software Alliance, che ha evidenziato come circa due terzi dei senior manager europei siano convinti dell’importanza ricoperta dai data analytics per le loro aziende. Inoltre, l’analisi dei Big Data è vista come mezzo per inserire in organico nuovi dipendenti.

E la situazione italiana? Lo scenario del nostro Paese è abbastanza desolante, perché finora si è fatto poco per innovare e per competere con altre realtà internazionali. Se è vero che il mercato degli analytics è cresciuto del 25% nel 2014, con un utilizzo più maturo di questi strumenti anche se a un livello piuttosto basico, è altrettanto vero che manca ancora una visione d’insieme dei ruoli e delle competenze. Infatti, per la School of Management del Politecnico di Milano, solo il 17% delle imprese si è dotato di un chief data officer e poco più di una su dieci ha schierato nelle sue fila un data scientist.

Inoltre, nello Stivale non è ancora stata colta appieno l’opportunità offerta dalle informazione generate dal Web: l’84% delle aziende utilizza esclusivamente dati interni, provenienti ad esempio da sistemi gestionali, senza attingere da fonti esterne come i social media. Ma la situazione, forse, sta per cambiare anche in questo campo. Il 44% delle imprese ha dichiarato che, entro due anni, adotterà strumenti di social and web analytics e già negli ultimi dodici mesi il volume dei dati semi-strutturati e non strutturati analizzati è cresciuto, rispetto al 2013, del 31%.

 

 

 

Analisi e organizzazione, i due punti chiave

“Le aziende devono rendersi conto non solo dell’importanza di assimilare informazioni e reagire rapidamente su più fonti, ma anche della capacità di organizzare gli insight acquisiti nel loro ambito”, ha commentato Paul Maritz, Ceo di Pivotal, società di software nata da una costola di Emc. “Le realtà che non svilupperanno questo tipo di abilità sono ad altissimo rischio di disorganizzazione. Ciò significa che le imprese devono investire con urgenza in persone, competenze, strumenti e piattaforme innovative”. Infatti, il 36% dei manager intervistati nella ricerca promossa da Capgemini ha affermato che, considerata l’importanza strategica dei Big Data, all’interno delle società si è dovuto ricorrere in fretta a un ampliamento dei team It per migliorare e velocizzare l’acquisizione di insight.

Il crescente interesse verso i Big Data Analytics è testimoniato anche dall’evoluzione del mercato dell’offerta, con l’esplosione di nuove iniziative imprenditoriali. L’Osservatorio startup e il Polihub, incubatore del Politecnico di Milano, hanno censito in questo comparto 376 nuove aziende a livello internazionale, finanziate da investitori istituzionali, che dall’inizio del 2012 hanno ottenuto cifre a diversi zeri: circa 7,6 miliardi di dollari. Sei startup su dieci offrono servizi avanzati, mentre la parte restante propone soluzioni di tipo basic. Nel nostro Paese sono 14 le giovani realtà operanti nel settore, concentrate soprattutto nel Nord Italia e in Lombardia.

 

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