Le aziende la cercano, la
abbracciano, a volte la temono ma sempre più ne inseguono i vantaggi: è la
consumerizzazione, uno dei trend tecnologici attualmente più forti nel mondo
professionale. Eppure i luoghi comuni sul fenomeno del “bring your own device”
sono ancora tanti e diffusi, come svelato da una ricerca realizzata fra ottobre
e novembre 2011 da Avanade, società fornitrice di soluzioni tecnologiche e
servizi informatici per le aziende.
Il titolo dell’indagine,
che ha visto coinvolti nella compilazione di un questionario 605 dirigenti e
decision maker in 17 Paesi, parla chiaro: Sfatare i sei miti dell’IT
consumerization. Quali sono? Avanade li elenca punto per punto, sfatando poi le
false credenze con dati alla mano.
Primo mito da sfatare è
che le aziende siano restie ad abbracciare la IT consumerization. Secondo
Avenade la propensione ad ammettere dispositivi personali tra gli strumenti di
lavoro riguarda la stragrande maggioranza delle società coinvolte nella
ricerca: l’88% del campione totale, e addirittura il 90% dei professionisti
italiani.
La maggior parte dei dirigenti di livello C, il 65% (77% in Italia),
si spinge ad affermare che essa sia la principale priorità tecnologica
all’interno delle proprie aziende. E il 60% delle società (63% in Italia) sta
modificando le proprie infrastrutture IT per consentire l’utilizzo dei device
di proprietà dei dipendenti.
Seconda inesattezza
riguarda la presunta carenza di risorse da investire nella gestione della
consumerization. Sbagliato, anche in questo caso: in media, le aziende
intervistate vi stanno destinando il 25% dei loro budget IT, e in Italia il
dato sale al 28 per cento.
Un terzo luogo comune
vorrebbe fare del bring your own device la risposta al bisogno di attrarre e
trattenere in azienda i dipendenti più giovani, quelli under 30 della
cosiddetta “net generation”. E invece meno di un terzo dei responsabili
aziendali, il 32%, ha modificato le policy al fine di rendere più interessante
il luogo di lavoro per i lavoratori più anagraficamente acerbi.
"Per i dirigenti
aziendali - ha dichiarato Tyson Hartman, cto globale di Avanade -, l'IT
consumerization riguarda più la modalità di lavoro dei dipendenti che il
dipendente stesso. In generale, la nostra ricerca mostra come la produttività e
la disponibilità di accesso ai dati siano maggiormente considerate dai
responsabili IT rispetto alla possibilità di sollevare il morale dei dipendenti
o di fornire maggiori responsabilità ai più giovani".
La ricerca prosegue poi
facendo chiarezza su un tema spinoso legato a smartphone, tablet e computer
personali: non è vero che i dispositivi privati vengano utilizzati solo per
accedere alle email o per intrattenersi sui social network. Le aziende hanno
più fiducia nei propri lavoratori di quanto i luoghi comuni potrebbero
suggerire, dato che per l’88% degli intervistati i dipendenti utilizzano le
tecnologie personali per fini aziendali; e in Italia si sale al 90 per cento.
Punto numero cinque
riguarda la presunta equazione fra consumerizzazione e marchio Apple. L’azienda
di Cupertino sta certamente giocando un ruolo da protagonista, ma gli
intervistati citano fra i device più usati gli smartphone BlackBerry e qualli
basati su Android; per quanto riguarda i laptop, le risposte degli italiani, a
differenza del risultato globale, privilegiano il sistema operativo Windows,
mentre nel mobile l’iPhone batte i modelli Android.
Chiude il sestetto delle
false verità la convinzione che le tecnologie consumer, se equipaggiate con
qualche sistema di sicurezza interno, non espongano le reti aziendali a
minacce. Come dimostrato da recenti indagini, quello della sicurezza rimane un
punto delicato, che l’ingresso delle tecnologie personali sul luogo di lavoro
complica ulteriormente.