31/01/2014 di Redazione

Crediti deteriorati: evitarli si può, con la tecnologia

Un’indagine di Exprivia e dell’Università Cattolica sottolinea come i software di analisi del rischio, uniti alla definizione di metodologie di analisi e sintesi dei dati, possano aiutare le banche e altri soggetti erogatori di credito a non incorrere in

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Crediti a rischio, non restituiti, che mettono in difficoltà le banche e allo stesso tempo innescano un circolo vizioso per cui le imprese sempre più difficilmente riescono a ottenere prestiti, utili per ripartire in tempi di crisi economica diffusa. Il problema del credito deteriorato può trovare sollievo grazie alla tecnologia, grazie a soluzioni software in grado di leggere attraverso i dati e di calcolare il grado di rischio di ciascuna operazione: come quelli di Exprivia,  società specializzata nella progettazione e nello sviluppo di software e servizi It per il mercato banche, finanza, industria, energia, telecomunicazioni, utility, sanità e Pubblica Amministrazione, con circa 1.800 dipendenti e una ventina di sedi nel mondo (in Italia a Molfetta, Bari, Milano, Roma, Piacenza, Padova, Trento, Vicenza  e Genova).


Insieme al CeTIF, il Centro di Ricerca in Tecnologie, Innovazione e Servizi Finanziari dell’Università Cattolica di Milano, Exprivia ha presentato una ricerca che ha coinvolto nove intermediari finanziari del nostro paese, ovvero Alba Leasing, Banca Agricola Popolare di Ragusa, Banca Carige, Banco Popolare, Banca Popolare di Sondrio, Banca Sella, Credito Emiliano, Ifitalia e UBI Banca.

Due le considerazioni al centro dell’indagine, titolata La gestione dei crediti deteriorati delle SME: implicazioni strategiche e gestionali alla luce delle nuove indicazioni regolamentari. La prima è un dato di fatto: la crisi economica che ha colpito l’Italia, e in particolare  il mondo delle piccole medie imprese, si è tradotta  anche in un peggioramento della qualità del credito erogato alle aziende.  Di conseguenza le banche hanno cominciato a prestare più attenzione ai processi gestionali che monitorano il rischio di credito.

Ma l’attenzione da sola non basta. I principi organizzativi di tali processi gestionali – ed è questa la seconda riflessione al centro dell’indagine –  mostrano ambiti di inefficienza e criticità. In particolare, i processi sono spesso non sufficientemente formalizzati e auditabili, lasciati alla discrezionalità individuale oppure gestiti da regole e sistemi non abbastanza sofisticati, a fronte di situazioni creditizie complesse ed eterogenee.

Come muoversi, dunque? A detta di Chiara Frigerio, professore di Organizzazione Aziendale e segretario generale del CeTIF, è necessario che gli specialisti e il personale del credito adottino “un nuovo modo di lavorare”, e questo significa innanzitutto pianificare “investimenti sul ridisegno del processo e sui sistemi informativi”. In particolare, i gestori ai vari livelli di delega dovranno imparare a  “impostare strategie di gestione in modo preventivo e codificato, anche in funzione di dati storici messi loro a disposizione dai sistemi informativi. Non c’è, infatti, strategia che possa essere definita correttamente senza una base di informazioni aggiornata, non riguardante unicamente gli aspetti bilancistici, ma anche di mercato, di compagine azionaria e di natura organizzativa”.

In parole povere, bisogna imparare dai dati, unico elemento concreto per poter valutare quanto un prestito abbia probabilità di essere restituito prima di diventare un credito deteriorato. Ricordiamo che nella definizione rientrano ora tutti gli sconfinamenti continuativi superiori ai 90 giorni, mentre fino al 2012 in Italia il lasso temporale di tolleranza era fissato a 180 giorni.

Nello Stivale, il fenomeno ha proporzioni e tassi di crescita preoccupanti:  secondo dati di Bankitalia, a fine 2012 i settori più colpiti risultavano il manifatturiero (con sofferenze pari a 25,3 miliardi di euro) e le costruzioni (21,58 miliardi), seguiti dal commercio (16,6 miliardi) e dall’agricoltura (4,04 miliardi). Nel giro di sei mesi, da fine 2011 al giugno del 2012, l’ammontare lordo dei crediti deteriorati delle prime dieci banche italiane è aumentato di quasi il 10%, passando da 177,6 miliardi di euro a 195,2 miliardi (fonte Sole 24 Ore); va detto che parte di questa crescita è da imputare alla più ampia accezione data al concetto di credito deteriorato, con la regola dei 90 giorni, ma in ogni caso al netto di questo cambiamento si registra comunque un incremento del 7%.

La ricerca di Exprivia ha sottolineato come le informazioni da tenere in considerazione non derivino solo dalla singola pratica, ma anche dai dati storici messi a disposizione dai sistemi informativi: solo così diventa possibile imparare dal passato e impostare strategie di gestione per il futuro. Un passaggio ulteriore è necessario, ovvero la definizione di adeguate modalità di analisi e soprattutto di sintesi dei dati. E quindi banche e istituti di credito dovranno sempre più affidarsi all’It e a soluzioni software in grado di orientarli.

“La ricerca realizzata”, ha commentato Roberta Gulden, direttore area Credit & Risk Management di Exprivia, “ha confermato come la gestione del credito deteriorato sia una attività complessa, difficile da formalizzare, impellente per i tempi in cui deve essere svolta con risorse dedicate, limitate e spesso anche non specializzate. Ciò comporta la necessità di soluzioni It che aiutino le banche nei processi decisionali per garantire la qualità e l’efficacia dell’operato: nei processi operativi per migliorare l’efficienza e nella fase di reporting per la condivisione dei risultati e per il presidio dei processi”.

“L’uso spinto della tecnologia”, ha proseguito  Gulden, “si impone,  dati i volumi in gioco, sia in termini di importo dei crediti deteriorati (e delle eventuali perdite), sia  di numero e costo delle risorse impiegate per la gestione dei medesimi. Il ricorso all’Information Technology, quando questa impiega sistemi ‘intelligenti’, può contribuire a colmare il gap formativo delle risorse, fungendo come strumento di formazione e veicolando ‘regole di conoscenza’ dove servono, oppure, più semplicemente, amplificare le potenzialità operative delle strutture in essere e garantirne al contempo la qualità dell’operato”.

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