31/10/2016 di Redazione

Crittografia, i cervelli artificiali di Google proteggono i segreti

Un test eseguito utilizzando tre sistemi di intelligenza artificiale ha dimostrato che è possibile scambiare fra due di essi informazioni cifrate, senza che il terzo riesca a codificarle se non in parte. I “cervelli” artificiali hanno creato in autonomia

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Chi sa tenere un segreto? Un sistema di intelligenza artificiale, come i “cervelli” protagonisti di un nuovo test di Google, sembra saperlo fare meglio di un essere umano. Possiamo affermarlo grazie al portale New Scientist, che ha raccontato il lavoro svolto dai ricercatori di Google Brain, una divisione della multinazionale dedicata ai progetti di deep learning: un segmento dell’apprendimento automatico che utilizza schemi di ragionamento simili a quelli umani, strutturati su grafi e livelli gerarchici. Martín Abadi e David Andersen, questi i nomi dei due ricercatori, hanno dimostrato che le reti neurali artificiali usati nei sistemi di deep learning possono creare in autonomia dei metodi crittografici, nonché tentare di “espugnare” i messaggi cifrati da altre reti.

Nell’esperimento, i tre “soggetti” in gioco sono stati battezzati Alice, Bob ed Eve. Ognuno ha svolto un compito: Alice ha crittografato un messaggio da 16 bit inizialmente in chiaro e lo ha più volte trasmesso a Bob, che aveva il compito di decifrarli utilizzando la chiave di encryption del mittente, mentre Eve ha tentato di “spiare” e comprendere la conversazione in atto. Inizialmente Alice e Bob parevano “piuttosto scarsi”, così scrive il giornalista di New Scientist, nel proteggere il messaggio, ma con la pratica e con l’apprendimento automatico sono riusciti a sviluppare una strategia di encryption efficace. Al termine dell’esperimento, dopo 15mila tentativi, il sistema Eve era riuscito a de-crittografare solo metà dei bit del messaggio, probabilmente per effetto di tentativi casuali.

Gli algoritmi crittografici sviluppati da Alice e Bob erano piuttosto semplici, specie se paragonati ai più avanzati sistemi progettati dall’uomo. E tuttavia l’esperimento ha segnato un passo avanti nello studio delle reti neurali, adattando queste ultime a scopi di protezione dei dati. Al momento non sembra di poter trovare un’applicazione pratica per questo metodo di crittografia basato su cervelli artificiali, dato che l’algoritmo e le chiavi utilizzate restano un segreto custodito dai cervelli stessi. Sarà però interessante osservare futuri sviluppi di questo filone di studio, magari con esperimenti su più larga scala resi possibili dal Cognitive Toolkit di Microsoft, appena diventato open source.

 

 

Un altro frutto recente della divisione Google Brain è Magenta, un progetto informatico e artistico allo stesso tempo: il suo primo obiettivo è quello di sfruttare il machine learning per la creazione di opere d’arte visiva e di musica. Alcuni algoritmi, costruiti con la tecnologia Tensorflow e messi a disposizione di tutti tramite GitHub, possono imparare in autonomia come generare lavori artistici e comporre musica. Magenta è comunque solo un esempio del più ampio impegno di Big G nel campo dell’intelligenza artificiale. Recente è l’accordo siglato con Microsoft, Ibm e Facebook per il varo di un’alleanza che (scommettiamo) influenzerà parecchio sia le attività di ricerca e sviluppo sia i futuri sbocchi commerciali dell’intelligenza artificiale.

 

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