02/06/2016 di Redazione

Crittografia o intelligenza artificiale: il dubbio di Facebook

Secondo il Guardian, il social network potrebbe portare entro l’estate su Messenger la “copertura” end-to-end dei messaggi. Ma l’azienda vorrebbe rendere la funzionalità opzionale, perché un sistema di questo genere impedirebbe l’attivazione di servizi ba

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Dopo Whatsapp potrebbe ora arrivare il turno di Messenger. Facebook starebbe pensando alla crittografia end-to-end anche sulla propria applicazione di messaggistica. Lo rivela il Guardian, notando però come la maggior sicurezza delle chat potrebbe andare a discapito di alcune funzionalità di intelligenza artificiale a cui il social network starebbe lavorando da tempo. Per questo, entro la prossima estate Facebook potrebbe proporre ai propri 900 milioni di utenti due strade alternative: una funzionalità di crittografia opzionale oppure bot “intelligenti” e altre soluzioni basate su algoritmi di machine learning, che si “cibano” appunto dei dati delle persone. Con la crittografia completa, queste informazioni non sarebbero più accessibili nemmeno al gruppo di Menlo Park.

L’intelligenza artificiale sta prendendo sempre più piede anche in applicazioni apparentemente semplici come quelle di messaggistica. La stessa Facebook ha svelato passi avanti di rilievo recentemente, con la Messenger Platform, così come altri colossi hi-tech. L’ultima in ordine cronologico è stata Google, con il nuovo assistente virtuale e app come Allo.

Rimane caldo quindi il tema della sicurezza e della privacy delle informazioni scambiate tramite la Rete. Argomento deflagrato in tutta la sua potenza (e la sua ridda di contraddizioni e di prese di posizioni diametralmente opposte) lo scorso febbraio, quando Apple si è opposta all’ordine di sblocco dell’iPhone 5c del terrorista di San Bernardino impartito dall’Fbi. Una scelta, quella di Tim Cook, che ha alimentato per settimane il dibattito sulla privacy, spaccando l’opinione pubblica.

 

 

A fine aprile, invece, ha sollevato un polverone “l’affaire canadese” di Blackberry: i giornalisti di Vice sono riusciti a recuperare tremila pagine di documentazione processuale da cui, pur tra molti omissis, si comprendeva come la Royal Canadian Mounted Police avesse avuto accesso a quella che è la “password universale” della piattaforma di messaggistica di BlackBerry. Sembra che l’azienda stessa avesse accettato di fornire la password per permettere di investigare sulle attività criminali di stampo mafioso.

Attraverso le parole di John Chen, Ceo di Blackberry, l’azienda ha poi ribadito di “aver fatto il suo dovere davanti alla cittadinanza, all’interno di confini legali ed etici”, e che l’investigazione al centro dello scandalo ha portato allo smantellamento di un’organizzazione criminale. Chen ha aggiunto che “il server di Bes (cuore dei dispositivi mobili, ndr) non è mai stato coinvolto in nessun momento della vicenda”.

 

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