22/05/2017 di Redazione

Cronologia browser condivisibile: i Repubblicani ci ripensano

La parlamentare Martha Blackburn lancia il Browser Act, mirando ad attenutare il cambio di regole voluto a inizio aprile dal governo di Donald Trump. Si cerca una via intermedia: Internet Service Provider e siti Web potranno usare i dati di navigazione a

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Il governo degli Stati Uniti è ancora una volta attentissimo alle questioni che riguardano la Rete e che chiamano in gioco un tema “apolitico” come quello della privacy online, ma anche grandi interessi economici. In particolare, quelli degli Internet Service Provider (che oltreoceano si chiamano Comcast, Verizon, AT&T) e quelli dei siti e servizi Web, inclusi colossi come Google e Facebook. Una nuova proposta della parlamentare repubblicana Martha Blackburn, battezzata Browser Act, affronta il complesso tema dei dati di navigazione degli utenti, rivenduti da siti e piattaforme a soggetti terzi o utilizzati dagli stessi siti e piattaforme per generare inserzioni pubblicitarie mirate.

Apparentemente, la proposta di Blackburn ripristina il precedente status quo, alterato sette settimane fa da una risoluzione di Donald Trump. Fino allo scorso aprile, secondo una regola votata dalla Federal Communications Commission durante la presidenza di Barack Obama, gli Isp non potevano rivendere o riutilizzare questi dati, possibilità invece concessa agli operatori del Web che offrono servizi diversi da quelli infrastrutturali e di connettività. Una distinzione, in effetti, ha ragione d'essere: per Google e altri motori di ricerca, per social network come Facebook, la componente advertising è inclusa nelle attività di core business, come non lo è invece per le telco.

A inizio aprile, però, il governo di Trump aveva ribaltato le carte, sia togliendo alla Fcc la competenza a legiferare su questo tema, sia equiparando i diritti degli Isp a quelli degli altri operatori: tutti, in sostanza, possono ora raccogliere dati di navigazione anche sensibili e riutiizzarli per fini commerciali. E inevitabilmente la scelta era sembrata un grosso favore a soggetti come Comcast, Verizon e At&T, peraltro già avvantaggiati dalla nuova proposta della Fcc sulla net neutrality.

Con il Browser Act, al momento una proposta che dovrà essere votata nelle prossime settimane, si cerca una sorta di terza via. Si chiede cioè che tutti i fornitori di servizi online possano conservare e condividere i dati dell'attività Web, ma solo se l'utente ha dato esplicitamente il consenso. Più precisamente, sarà necessario “ottenere il consenso opt-in dall'utente per utilizzare, pubblicare o permettere l'accesso a dati sensibili”. La definizione include, in questo caso, non soltanto informazioni sulla salute o sulle finanze dell'internauta, ma anche i normali dati di cronologia Web e di uso delle applicazioni (compresa la geolocalizzazione). Chi viola questi termini sarà soggetto a sanzioni della Federal Trade Commission.

 

Martha Blackburn

 

La proposta appare sensata ed equilibrata, ma racchiude in realtà qualche contraddizione e, forse, il segno di pressioni politiche difficili da decrifrare per chi sta dall'altra parte dell'oceano. Molti osservatori, negli Usa, non concordano sull'equiparazione dei diritti di telco e siti Web, altri fanno notare come Martha Blackburn fosse nel gruppo di repubblicani che avevano fatto pressione per modificare la vecchia legge. Che la proposta del Browser Act provenga da lei si spiega, forse, in parte con la volontà di placare il malcontento popolare per la regola in vigore da sette settimane. Ma c'è dell'altro: nella contro-proposta è infilato tra le righe un dettaglio non da poco, una regola che vuole impedire ai singoli Stati e alle municipalità di emanare leggi proprie, magari più restrittive e più protettive della privacy. La maggioranza dei Repubblicani al Congresso, intanto, continua a propendere per una strada diversa, quella della libertà massima per gli Isp.

 

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