08/03/2018 di Redazione

Donne oltre gli stereotipi: il “gender gap” nell'informatica esiste

Uno studio sponsorizzato da Ca Technologies ed eseguito da Netconsulting Cube conferma l'esistenza di falsi miti e disparità di genere nelle professioni Stem (scienze, tecnologia, ingegneria e matematica). Pregiudizi che iniziano a scuola e si consolidano

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Quando si parla del ruolo delle donne in società e nel mondo del lavoro, come oggi nell'International Women's Day e come recentemente accaduto grazie al movimento MeeToo, cadere negli stereotipi è facilissimo. Ma con i numeri non si può sbagliare e non c'è, purtroppo, troppo margine interpretativo nelle cifre racchiuse nell'ultimo studio di Ipsos Mori sul tema: una conferma del fatto che il cosiddetto “gender gap”, la disparità di genere nel mondo del lavoro è tutt'altro che un falso mito. Il problema non solo è reale, ma addirittura sottovalutato. Su oltre 19mila persone intervistate in 27 Paesi (Italia inclusa), la percezione collettiva è che la presenza di amministratori delegati donna nelle 500 più grandi società al mondo sia intorno al 20%, ovvero in un'azienda su cinque. Ebbene, la realtà è peggiore: appena il 3%.

 

Altrettanto significativa è la fotografia, ristretta all'Italia e all'ambito delle professioni Stem (scienza, tecnica, ingegneria e matematica), scattata ogni anno da Netconsulting Cube con un'indagine sponsorizzata da Ca Technologies e condotta su tre categorie di persone: studenti, manager delle risorse umane e chief information officer. Ennesima conferma di come le professioni tecnico-scientifiche siano ancora ritenute da molte donne come poco interessanti o adatte a loro, ma soprattutto conferma delle ineguali opportunità di carriera.

 

Partiamo dalla scuola: gli stereotipi di genere si fomano qui. Tra gli studenti (210 intervistati, 14-18enni, di licei e istituti tecnici di Milano e Roma), solo tre ragazze su dieci sono orientate verso un percorso di studi in discipline tecnico scientifiche, mentre si può dire lo stesso di un maschio su due (53%); similmente, solo il 35% delle studentesse si immagina in un ruolo Stem nel proprio futuro professionale e appena il 2% pensa di poter entrare nella direzione It di un'azienda.

 

 

In generale, le liceali percepiscano se stesse come più propense e più dotate per le discipline umanistiche. “Ci sono dei segnali di come questo stereotipo nasca a volte in famiglia, ancor prima che a scuola”, fa notare Rossella Macinante, practice manager di Netconsulting Cube, spiegando che il 21% dei ragazzi intervistati viene spinto dalla famiglia verso discipline Stem, mentre per le giovani donne la percentuale si limita al 12%. La scuola, poi, non sembra tentare di colmare il famoso gap, perché solo nel 20% dei casi gli insegnanti indirizzano i ragazzi verso percorsi di studio che assecondano le tendenze del mercato del lavoro.

 

Spostando l'osservazione sugli addetti alle risorse umane e sui responsabili It (110 quelli intervistati in entrambe le categorie), lo scenario non cambia. “Il gender gap in ambito Stem esiste”, conferma Macinante. “Il 72% degli Hr manager indica una carenza di donne laureate in discipline tecnico-scientifiche”. Perché? Di fronte a questa domanda, il 72% ha citato l'esistenza di stereotipi di genere, mentre il 44% intravede un problema di cultura aziendale. Ed è un peccato, perché ben l'84% dei manager delle risorse umane pensa che una maggior presenza di donne in ruoli Stem avrebbe un impatto positivo sul business dell'azienda.

 

Alle donne vengono attribuite particolari predisposizioni e abilità di tipo soft skill, ovvero soprattutto l'apertura al cambiamento, la flessibilità, la capacità di multitasking, il problem solving. Non vengono riconosciute alle donne, invece, capacità di leadership e manageriali, o almeno non tanto quanto esse vengano riferite agli uomini. Se si parla di innovazione, in ogni caso, le donne ne escono vincitrici: sono proprio l'apertura al cambiamento, il problem solving e l'inclinazione al lavoro di squadra le due abilità più associate a tale concetto, tanto dagli addetti alle risorse umane quanto dai Cio.

 

 

Perché è importante aumentare la “percentuale rosa” all'interno delle professioni Stem? Le opportunità ci sono per tutti, anzi la domanda è addirittura superiore all'offerta per alcuni ruoli e compentenze: per citare un dato (di Assinform), in Italia nel 2016 si sono creati 28mila posti di lavoro che richiedono specializzazioni Ict e quest'anno si prevede che il numero raddoppi. Dall'indagine di Netconsulting Cube emerge che le professioni informatiche più richieste nei prossimi tre anni saranno l'esperto di cybersicurezza (in un'azienda su due), il digital strategist o information officer (42%), il data protection officer (37%), il Big Data engineer (30%), il data scientist (27%) e il cloud computing engineer (27%). E più in generale Ca Technologies stima che il giro d'affari mondiale di ciò che chiama “app economy” nel 2021 arriverà a valere 6mila miliardi di dollari.

 

Nel mondo di oggi, spiega Michele Lamartina, amministratore delegato e country manager di Ca Technologies Italia, “è evidente che bisogna trasformarsi. La nuova valuta, in questa economia, diventano le competenze. Assisitamo a una sorta di darwinismo digitale, per cui solo le aziende in grado di innovare potranno sopravvivere. E il motore dell'innovazione è la tecnologia”. La speranza collettiva è che, in questa evoluzione del mondo aziendale e dell'economia, le donne non restino relegate in una nicchia. Più che una speranza, questo è tuttavia un impegno per chi, come Ca Technologies, conduce iniziative di formazione agli studenti (sui linguaggi di programmazione, per esempio) e collaborazioni con Sodalitas, fondazione che per il quinto anno consecutivo sta portando avanti in Italia il progetto europeo “Deploy your talents”. Promosso da Csr Europe, una rete di aziende votate alla responsabilità sociale, coinvolge imprese e scuole superiori in una missione comune: far emergere i veri talenti dei giovani, uomini o donne che siano.

 

 

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