10/11/2011 di Redazione

E-commerce a doppia cifra. Ma le ombre rimangono

L’Osservatorio del Politecnico di Milano stima per il settore un giro d'affari, in crescita del 20%, di oltre 8,1 miliardi di euro per il 2011. Nove milioni i Web shopper, che comprano beni e servizi su siti internazionali per altri 1,2 miliardi. Ma secon

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Il commercio elettronico continua a crescere. Ma oltre al 20% di aumento stimato per il 2011, che dovrebbe portare il valore complessivo degli acquisti online effettuati su siti italiani a superare quota 8,1 miliardi di euro, sono molti altri i segnali postivi che arrivano dal rapporto della School of Management del Politecnico di Milano.



Innanzitutto il fatto che c’è stata un’accelerazione rispetto al 2010, che si chiuse con un consuntivo in salita del 17%. Quindi il parametro misurato considerando l’acquistato da Web shopper italiani su siti internazionali, che equivale a 1,2 miliardi e che se sommato alla cifra di cui sopra eleva il giro d’affari complessivo dell’e-commerce a superare i 9,2 miliardi di euro, una cifra pari a circa il 2% del totale del mercato retail.

Un giro d’affari che è sostanzialmente il frutto di tre fattori che contribuiscono a cambiare lo scenario del mercato. Alle migliori performance di chi già c’era si è aggiunto il boom dei siti di couponing come Groupon e Groupalia e l’arrivo di nuovi player come Amazon, ma non solo.  

“Nonostante la crisi troviamo un canale che accelera la crescita rispetto allo scorso anno – è il primo commento di Riccardo Mangiaracina, responsabile della ricerca -. Molte aziende hanno compreso che Internet ormai non è più un unico canale, ma significa ecommerce, mobile commerce e social network. Si tratta di canali che sfruttano la stessa tecnologia, magari anche lo stesso device, ma sono differenti e complementari. Oggi infatti sono utilizzati dalle aziende per la loro relazione con il cliente che viene ingaggiato sul social network, cerca le informazioni sul sito di ecommerce, compra in negozio e può gestire il post vendita sul cellulare”.



Secondo l’analisi dell’ateneo milanese, oggi l’esperienza multicanale del cliente è più complessa tanto che si può affermare che il conflitto di canale c’è stato dove il canale non portava valore aggiunto. L’agenzia di viaggi per la semplice prenotazione del volo non ha valore aggiunto, mentre la sua funzione consulenziale rimane alta nei viaggi pacchettizzati dove, per esempio, il valore dell’ecommerce è molto basso. 

I dati principali parlano di 9 milioni di web shopper (+7%) con una spesa annua pro capite di 1.50 euro e uno scontrino medio in leggero calo intorno ai 210 euro. Ottima anche la crescita delle vendite tramite mobile che, pur partendo da numeri più bassi, crescono del 210% rispetto al 2010, superano quota 81 milioni di euro e valgono l’1% delle vendite online.   

Il Web motore della competizione multicanale. Ma il Gap con l'Europa rimane
L’Osservatorio ha messo inoltre in evidenza un altro aspetto positivo legato al settore, e cioè l’incremento del numero di internauti che, nella fascia 18-64 anni, hanno superato la cifra di 25 milioni di persone, con circa il 35% di questi protagonisti di un acquisto online negli ultimi tre mesi. Queste cifre, si legge nel rapporto, stanno a dimostrare come l’e-commerce sia diventato rilevante dal punto di vista sia economico che sociale.

Le imprese, grandi e piccole, hanno capito l’importanza di considerare questo canale non più come un fenomeno guidato dalla tecnologia o dalla moda, ma come uno strumento chiave per svilupparsi sul mercato nazionale ed internazionale, per migliorare la propria posizione competitiva, rafforzare i propri brand e per valorizzare la propria relazione di lungo termine con i clienti.

Dalla loro le aziende possono contare sul fatto che il 65% degli utenti online – che sono circa 25 milioni - manifesta comportamenti d’acquisto multicanale. Oltre 16 milioni di italiani, dunque, compie uno o più passaggi sul Web, dalla fase di raccolta di informazioni sul prodotto o servizio da comprare a quella del post acquisto, che comprende anche eventuali lamentale.

C’è però anche un rovescio della medaglia ed è rappresentato dal ritardo dell’Italia nei confronti degli altri Paesi europei. Secondo l’Eurostat, infatti, il 65% dei cittadini del Vecchio Continente collegati in Rete ha effettuato un acquisto online negli ultimi 12 mesi contro il 35% degli internauti  italiani.

Le vendite in Inghilterra e Francia sono state rispettivamente, nell’ultimo anno, otto e quattro volte le vendite effettuate in Italia e il saldo negativo tra import ed export è in continua crescita aumentando progressivamente il divario competitivo fra il Belpaese e il resto dell’Europa. Un ritardo evidente, quindi, che si spiega in buona parte con la persistente e nota carenza di offerta da parte delle imprese italiane sul canale online.

Chi ha contribuito alla corsa del B2C

Groupon e Groupalia hanno trascinato la corsa dei siti di couponing che, sospinti anche dal vento della crisi economica, si sono imposti proponendo offerte allettanti anche per beni e servizi prima non presenti in rete.  Si tratta di un nuovo modello di business che, secondo Mangiaracina, ha diversi meriti. “Il couponing è  diventato un canale di comunicazione per gli esercenti anche molto locali, permette agli operatori di segmentare la clientela e ottimizzare l’utilizzo della struttura (il ristorante vuoto il lunedì, il centro massaggi non frequentato in alcune ore del giorno). Dalla parte dell’utente permette di avere accesso a prodotti e servizi che prima non conosceva”.



Le offerte dei nuovi player, tramite la leva del prezzo, hanno cercato di conquistare spazio sul mercato. Accanto ad Amazon, che recentemente ha inaugurato il primo polo logistico in Italia, ci sono altri nomi come Motivi, Petit Bateau, Scarpe&Scarpe, Terranova, Mondo Convenienza, Saturn, Profumerie Douglas e Marionnaud. Un fermento inesistente nel mondo del grocery dove Esselunga prosegue la sua corsa solitaria.

“La sensazione – è l’opinione del ricercatore del Politecnico - è che ci sia una maggiore consapevolezza delle aziende che non credono più al falso mito della cannibalizzazione fra i canali. Si è capito che l’ecommerce espande il mercato coprendo zone dove non si è presenti con la propria rete vendita, lo allarga anche dal punto di vista temporale perché si acquista in qualsiasi ora del giorno, e ci sono grandi potenzialità per quanto riguarda la conoscenza dei propri clienti con i quali ci si può relazionare in modo diretto anche con pubblicità mirata”.

Nel grocery, dove qualcuno si sta ancora leccando le ferite del passato, il problema è dato soprattutto dai costi della logistica. L’evasione dell’ordine dal punto vendita costa 20-30 euro (con l’addetto che fa la spesa al nostro posto) non coperti di certo dalle spese di spedizione. Se si vuole abbassare i costi ci vuole una struttura dedicata, ma per fare questo è necessaria la massa critica dei clienti. “Occorre investire sapendo che il ritorno si vedrà dopo qualche anno”.   



Nell’abbigliamento prosegue imperterrita la marcia di Yoox che con il suo successo trascina il settore (+38%). iIl turismo continua a mantenere il 49% del mercato e buono notizie arrivano anche da editoria, musica e audiovisivi che salgono del 35%. Nel frattempo è stata però approvata una legge sul prezzo dei libri che impone sconti non superiori al 15%.

Una normativa che non preoccupa Amazon. Come ha spiegato il vice presidente Diego Piacentini in occasione della presentazione del polo logistico di Piacenza, il colosso di Seattle è già presente in paesi che hanno adottato simili provvedimenti. La competizione però non si fa solo sul prezzo, ma anche su servizio e ampiezza della gamma, due punti forti della società di Jeff Bezos.

Il commercio elettronico tricolore continua comunque ad avere ampi spazi di crescita. Grocery a parte che in Italia vale l’1% e in Uk il 10%, , in Germania i ricambi per auto arrivano al 5% e in Francia l’arredamento pesa oltre il 2%. In Italia siamo praticamente a zero.

L’Osservatorio si è occupato anche dei social network e dei riflessi sulle vendite online per concludere che al momento Facebook non serve per vendere, ma per supportare il marketing, fare branding e comunicazione. Solo le vendite private stanno facendo un buon lavoro da questo punto di vista con privilegi dedicati ai fan della pagina Facebook, ma per il momento si tratta di casi isolati.





Ha collaborato Gianni Rusconi

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