26/09/2016 di Redazione

Effetto Amazon, Big Data, clienti-boss: così cambia il retail

Abbiamo incontrato Razat Gaurav, executive vice president, general manager e chief revenue officer di Jda, per parlare di come stiano cambiando le strategie di chi vende online e nei negozi fisici. Sfruttare l’analisi dei dati è fondamentale per salvaguar

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Il mondo del retail, travolto quello che potremmo chiamare “effetto Amazon”, oggi è alla ricerca di nuovi equilibri tra profitto e soddisfazione del cliente. Un cliente che, molto più di quanto non fosse in passato, è davvero il detentore dello scettro del potere: perché sceglie in modo consapevole, recensisce, pretende prodotti e servizi sempre più personalizzati. Ma anche perché l’analisi dei suoi gusti e comportamenti d’acquisto influenza la direzione del business di chi vende, sia online sia nei negozi fisici. Ne abbiamo discusso, in occasione di un suo passaggio a Milano, con Razat Gaurav, executive vice president, general manager e chief revenue officer di Jda. La software house statunitese di Scottsdale, Arizona, propone soluzioni per la vendita, il marketing, la logistica, la gestione della supply chain a oltre quattromila aziende clienti (fra cui, in Italia, Luxottica, Safilo, StMicroelectronics e Fiat Chrysler Automobiles).

 

Razat Gaurav, executive vice president, general manager e chief revenue officer di Jda

 

 

Come sta cambiando il mondo del retail?
Il consumatore sta diventando il “boss”. Oggi i clienti vogliono avere sotto controllo tutti i canali, dai negozi fisici all’online, e spostarsi da uno all’altro senza interruzioni. Magari fanno ricerche sul Web poi vanno ad acquistare in negozio e poi chiedono la consegna a domicilio. Di conseguenza i retailer stanno cercando di capire che cosa significhi questo per le loro attività e come soddisfare le aspettative dei clienti riuscendo anche a generare profitto. Un bilanciamento difficile. Sta anche cambiando il ruolo del negozio, che non è più solo un luogo di vendita ma di esperienza. E cambia, infine, la logistica: per un ordine online bisogna capire da dove far partire la consegna, se dal magazzino, dal negozio o dalla sede del fornitore. C’è poi un elemento di scenario che possiamo chiamare “effetto Amazon”, un operatore che vanta cinque milioni di oggetti nel suo inventario, un negozio sempre aperto e una catena di distribuzione che permette di soddisfare le consegne in pochi giorni od ore. Amazon fa tutto questo senza preoccuparsi troppo di essere profittevole, anche perché guadagna di più con la divisione cloud, Aws. E per gli altri retailer, spinti dalla motivazione del profitto, competere su queste basi sta diventando molto difficile.

 

Quale modus operandi prevale fra i retailer?
Per molti la trasformazione inizia dagli aspetti visibili, come le interazioni nei negozi e il front end del commercio elettronico. Gli investimenti in questi ambiti non mancano, mentre credo che un aspetto sottovalutato da molti sia riuscire a collegare tutto questo alla gestione della supply chain e a farlo in modo profittevole. Osserviamo ancora mancanze nelle operazioni di logistica e supply chain, scarsa integrazione e un metodo di lavoro “a silos”.

 

 

Qualche esempio di corretta strategia?
Bisogna dare priorità al cambiamento. Alcuni retailer storicamente legati ai prodotti stanno proponendo anche servizi: negli Stati Uniti, per esempio, BestBuy associa alla vendita di elettronica di consumo anche servizi di installazione a domicilio. In generale, l’adozione dell’approccio omnicanale è più avanzata nei settori della tecnologia, della moda e fashion, mentre l’agroalimentare è piuttosto indietro.  Va poi detto che tutti i retailer oggi dispongono di grandi quantità di dati: quelli tradizionali, provenienti dalle vendite, dai programmi fedeltà, dall’inventario, dall’andamento del mercato, e quelli nuovi, che arrivano dai tweet, dai social media e per alcuni settori anche da fonti come meteo e bollettini sul traffico. Non è però la quantità di dati ciò che rende più o meno competitiva un’azienda, bensì l’utilizzo che se ne fa. Bisogna concentrarsi non solo sulla raccolta dei dati, ma sulla loro analisi, sulla distinzione del “rumore” dalle informazioni rilevanti.

 

Oggi si parla molto di intelligenza artificiale…
Con il machine learning si può trarre valore molto rapidamente dai flussi di dati non strutturati. La nostra divisione di ricerca& sviluppo, Jda Labs, negli ultimi anni ha lavorato alla creazione di algoritmi di previsione della domanda. Jda, inoltre, utilizza alcuni prodotti di intelligenza artificiale sul cloud e ha scelto la piattaforma di Google per sviluppare applicazioni. Un esempio è Retail.me Assortment Planning, una soluzione per la pianificazione dell’assortimento sulla base di fonti di dati tradizionali e nuovi, come quelli derivanti dai social, dal contesto geopolitico, dal meteo. Tutti vengono analizzati con il machine learning. C’è una complessità di fondo, perché il mondo sta diventando complesso, ma soluzioni come questa devono essere facile da usare.

 

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