29/11/2011 di Redazione

EMC: le aziende italiane sono pronte a salutare il nastro

Una ricerca ha fatto il punto sul livello di adozione delle soluzioni di back up e disaster recovery nelle aziende italiane ed europee. Tre su quattro potrebbero non essere in grado di riprendersi da un disastro perché penalizzate dalle lacune dell’infras

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I dati rappresentano il motore di ogni organizzazione. Sui dati si prendono le decisioni strategiche che guidano le aziende. I dati devono però protetti ed essere sempre disponibili all’utilizzo. Ed è qui che nasce il problema, che emergono lacune e mancanze in termini di effettiva preparazione – da parte delle aziende - ad affrontare situazioni critiche, per i propri dati e per il proprio business.
 
I dati sono un bene strategico ma vanno gestiti, oltre che protetti: il fatto che siano in continua crescita aumenta le complessità. Secondo un recente studio di Idc, nel corso del prossimo decennio le aziende possiederanno una quantità 50 volte superiore di dati e 75 volte il numero di file. A livello globale, il volume di dati aumenterà a 35 zettabyte.

Marco Rocco, Regional Sales Director Backup & Recovery Systems di EMC


Per capire come stanno veramente le cose nelle imprese italiane ed in quelle europee, quanto queste organizzazioni abbiano lavorato internamente in tema di backup, business continuity e disaster recovery (e capire quindi la loro capacità di risposta in caso di una perdita di dati o interruzioni di sistema) EMC ha commissionato la ricerca “European Disaster Recovery Survey 2011” - 1.750 IT decision-maker intervistati in sette Paesi - alla società indipendente Vanson Bourne.

IctBusiness ha chiesto un commento ai dati salienti dell’indagine a Marco Rocco, Regional Sales Director Backup & Recovery Systems di EMC. E il suo pensiero introduttivo sul tema è stato il seguente: “è una materia di cui si parla da parecchi anni e possiamo sicuramente dire che l’Italia è pronta a fare un salto verso sistemi di disaster recovery più efficienti. Il salto in avanti è auspicabile e prevedibile perché le attuali implementazioni non sono in molti casi soddisfacenti, sono troppo costose e non sono all’altezza delle aspettative a suo tempo definite dal punto di vista operativo”.

Che ci sia ancora molto da fare per le aziende anche nel campo del backup e del disaster recovery è quindi confermato tanto dai dati emersi dalla ricerca - il 74% delle aziende campione non crede di poter ripristinare completamente i propri sistemi o i dati e il 54% ha perso dati o subito interruzioni di sistema nel corso degli ultimi 12 mesi – quanto dalle riflessioni di Rocco sul perché di queste defaillance. “Molti impianti sono stati realizzati nella logica del volting dei dati archiviati su nastro magnetico, soluzioni a suo tempo più economiche e comunque conformi alle disposizioni in materia di trattamento dei dati. La deduplicazione è la soluzione ideale ma fino a ieri si è resa disponibile solo alle grandi aziende, le uniche a poter fare determinati investimenti”.

E l’Italia come esce dalla ricerca? I meri dati dicono che il BelPaese è tutt’altro che indietro rispetto alle nazioni monitorate – siamo il Paese dove la spesa IT per il backup e il recovery è risultata essere la più elevata, con un valore del 12,01% (circa 12 milioni di euro), rispetto alla media Emea del 10,5% - ma occorre fare una considerazione più approfondita. Che secondo il manager di EMC è la seguente: “il tema è stato per parecchio tempo sottovalutato delle medie aziende, che però si sono svegliate e vedono oggi nella tecnologia digitale su disco con funzionalità di deduplica integrate la soluzione a cui tendere”.

Abbandonare il vecchio “tape” per passare al disco – intenzione che secondo Rocco interessa il 90% delle aziende italiane - è il leti motiv della questione: per ragioni di costi, per ragioni di maggiore sicurezza dei propri dati e anche perché passare al back up e al recovery in tecnologia digitale e con deduplica ha un ritorno dell’investimento misurabile e provato, “che può essere anche inferiore ai sette mesi”. L’adozione di questi sistemi non può quindi che essere in salita e con l’abbandono del nastro, questa l’altra convinzione di Rocco, ci sarà una conseguente propensione a un disaster recovery più efficiente.

Maggiore efficienza e consapevolezza che farà da trampolino alla crescita delle soluzioni di back up e disastery recovery in modalità as a service come valida alternativa a quelle tradizionali “on premise”. Un business che ad EMC interessa parecchio ma solo nell’ottica di vendere tale “tecnologie” ai grandi provider di servizi IT (che tradurrebbero le superiori economia di scala in maggiori vantaggi per le aziende) e non direttamente ai clienti finali.

Quanto e come pesano le interruzioni di sistema
La ricerca ha messo in luce che non servono avvenimenti straordinari a creare problemi di continuità del business. Le tre principali cause di perdita dei dati e downtime sono i problemi a livello hardware (registrati nel 61% dei casi), le interruzioni di alimentazione (42%) e i bachi del software (35%).

Questi dati si rapportano con un 7% di interruzioni di sistema o perdite di dati derivanti da disastri naturali e con un 8% dovuto ad un sabotaggio da parte di dipendenti. Indipendentemente dalla causa, il 44% delle aziende ha rivisto e modificato le procedure di backup e recovery a seguito di un incidente. Inoltre, sempre a seguito di un disastro, il 27% delle aziende ha aumentato la spesa in backup e recovery.

Lo studio ha identificato inoltre alcune tipologie misurabili di impatto sul business, dovute a interruzioni di sistema, e le principali sono: perdita di produttività dei dipendenti, rilevata nel 43% dei casi, perdita di profitti (28%) e ritardi nello sviluppo di prodotti (27%).

Le interruzioni di sistema per le aziende intervistate sono risultate essere mediamente di due giorni lavorativi persi: in cifre parliamo di 28.391 ore lavoro per un’azienda con circa 2.000 dipendenti.  

Guardando al futuro, il 40% delle aziende ha confermato di voler puntare ancora sul nastro per le attività di backup e recovery (con un costo annuale medio stimato in 74mila euro fra trasporto, archiviazione, test e sostituzione dei nastri) ma la maggioranza di queste, e precisamente l’80%, ha manifestato il desiderio di sostituirlo motivando questa scelta con motivazioni quali la velocità di ripristino (citata nel 39% dei casi), backup più rapidi (33%) e garanzie di durata (26%).

La ricerca ha rilevato infine come le aziende stanno spendendo, in media, il 10% dei loro budget IT in attività di backup e ripristino e come il 29% del campione di organizzazioni esaminato non creda di spendere abbastanza. Il punto è come investire meglio le risorse a disposizione, adottando un approccio di nuova generazione al backup e al disaster recovery.

I dati dell’Italia rispetto all’area Emea
Lo studio EMC ha messo in evidenza alcune differenze fra l'approccio al back up e al disaster recovery delle aziende italiane e quelle Emea. Ecco i dati in versione integrale.

In media, circa un terzo (32%) delle aziende in Emea ha aumentato la spesa nei sistemi IT di backup/disaster recovery, con un valore massimo del 57% riportato in Italia, e un minimo del 18% in Germania. Circa la metà (48%) delle aziende italiane ha modificato le procedure di backup/disaster recovery dei sistemi IT dopo un'interruzione di sistema  (il secondo valore più alto in Europa dopo il Regno Unito, rispetto a una media del 40% in Europa e al minimo registrato in Francia del 29%).


Circa 3 aziende su dieci (27%) in Italia hanno riportato una perdita dei dati nel corso degli ultimi dodici mesi (la media a livello Emea del  25%, con un picco del 32% in Francia e un minimo del 18% in Germania). In media, queste organizzazioni hanno perso 387 GByte a livello Emea, con un picco di 549 GByte in Francia e un minimo di 142 GByte in Germania.  In Italia il valore si attesta sui 302 GByte. La causa più comune riportata per la perdita di dati è un problema a livello di hardware (54%) (in linea con la media europea del 53%, con un valore massimo del 68% in Russia).  

Avendo subito una perdita di dati nel corso degli ultimi dodici mesi, il 48% ha rivisto e modificato le procedure per i sistemi IT di backup/disaster recovery – il secondo risultato più elevato in Europa dopo il Regno Unito (57%) (rispetto a una media del 41% e un minimo del 30% in Spagna).  In linea con il riscontro a livello europeo, la conseguenza più probabile a seguito di una perdita di dati riguarda la produttività dei dipendenti  (41%). In media, il 43% delle organizzazioni ha subito un’ interruzione di sistema in Europa, con un valore minimo del 29% per la Russia. La causa maggiormente indicata per il downtime in Italia è un problema a livello di hardware (37% -  contro una media del 54% a livello Emea).
 
Il 40% delle aziende italiane è obbligato per motivi di policy assicurativa e/o normativa a disporre di un piano di disaster recovery (la media europea è del 49%). Circa un terzo (30%) delle aziende ha premi assicurativi ridotti in base alla loro strategia di  backup/disaster recovery (valore massimo del 35% in Spagna e minimo del 16% in Russia). La media europea del  47% non è a conoscenza o non lo ha mai preso in considerazione
 
In EmeaA, le aziende sono più propense ad avere un piano di backup e recovery per i loro file e dati operativi (67%). Il valore massimo riguarda il Regno Unito con l'83%, e il minimo con il 59% in Spagna e Benelux. I file operativi sono inoltre richiesti come prima cosa per tornare operativi, nel caso di incidenti inaspettati. In media, ci vorrebbero due giorni per ripristinare appieno lo status operativo.
 
La quasi totalità delle aziende italiane intervistate (90%) desidera passare dal backup su nastro al backup basato su disco (rispetto a una media dell’83%, con un valore minimo del 70% in Benelux). Circa otto aziende su dieci (79%) in Emea archiviano una copia di backup offsite a scopo di attività di disaster recovery (con l'83% in Regno Unito e il  67% in Russia). 

Le aziende in Italia utilizzano pressoché parimente sistemi storage basati su disco (51%) come su nastro (49%). Quest'ultimo, è il valore più elevato rispetto agli altri paesi in EMEA, dove i dischi sono più popolari in Francia, Germania, Spagna e Russia.  Oltre 4 aziende EMEA su 5 (83%) spendono denaro nel trasporto  e nell'archiviazione di nastri di backup (il dato più elevato in Francia con il 93%).

Il costo medio per le aziende per sostituire i nastri è pari a 18.225 euro all'anno e il valore massimo è rappresentato dall'Italia con 22.102 euro (il minimo di 8.603 in Russia). In media, le aziende sostituiscono i loro nastri ogni quattro mesi. 

La principale barriera per le aziende che deduplicano i backup è rappresentata dai costi (mentre in generale a livello europeo riguarda il tempo necessario). Più di sette aziende su dieci (75%, valore massimo rispetto alla media del 47%) che utilizzano il nastro per il backup di disaster recovery prevedono di cambiare metodo. Il motivo maggiormente riportato dagli intervistati per l'abbandono del nastro riguarda la velocità di ripristino.

Tre quarti delle aziende (75%) attualmente non hanno fiducia di poter ripristinare completamente i propri sistemi/dati (rispetto a una media del 74%, con un valore massimo dell’84% in Francia e un minimo del 63% in Germania).

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