04/02/2019 di Redazione

Esilio breve per Google e Facebook dal circolo chiuso di iOS

A pochi giorni dalla sospensione dei permessi (per via di due applicazioni “spione”), Apple ha concesso nuovamente ai dipendenti delle due aziende l’accesso al Developer Enterprise Program.

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L’esilio di Facebook e Google dall’Apple Developer Enterprise Program è durato poco. I dipendenti delle due società erano stati estromessi dal programma che Apple mette a disposizione per le app aziendali iOS a uso interno in fase di sviluppo e test, a causa di due vicende collegate l’una all’altra. La scorsa settimana l’azienda di Menlo Park aveva ricevuto le ennesime critiche di spudoratezza nella raccolta dati a causa del reclutamento di utenti minorenni in Facebook Research , e subito dopo Google aveva scelto di ritirare dall’App Store la propria Screenwise Meter, colpevole di violare le regole dell’Apple Developer Enterprise Program.

A Cupertino, dunque, si era scelto di sospendere i permessi di accesso al programma per i dipendenti delle due aziende, a prescindere dal tipo di applicazione in uso. Dopo le scuse di Google, però, il perdono di Apple non si è fatto attendere troppo: a nemmeno due giorni dalla messa al bando i certificati erano nuovamente utilizzabili, come confermato a TechCrunch dai diretti interessati.

Fuori dalla Silicon Valley, la notizia è interessante soprattutto perché evidenzia la crescente, e doverosa, attenzione verso i comportamenti delle app, verso ciò che dichiarano di poter fare e ciò che fanno realmente. Sebbene né Facebook Research né Screenwise Meter abbiano commesso violazioni di privacy, ha fatto storcere il naso la loro “invadenza” nel monitoraggio dell’uso dei dispositivi (specie nel primo caso, essendoci molti minorenni coinvolti).

Intanto, sempre a proposito di app dal comportamento discutibile, Google ne ha opportunamente rimosse dal Play Store 29, dopo essersi accorta del loro vero scopo. Come spiega Trend Micro, si tratta apparentemente di applicazioni di editing fotografico e di filtri per videocamera, che in realtà venivano usate dai loro autori per pubblicare annunci pubblicitari invasivi (in alcuni casi anche pornografici) oppure per rubare immagini e dati dagli smartphone delle ignare vittime.

 

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