30/01/2012 di Redazione

Facebook e le altre: Wall Street si prepara a una nuova bolla?

L'Ipo del più popolare social network del pianeta, in programma forse settimana prossima, catalizza l'attenzione della comunità finanziaria. Per il 2012 sono attesi collocamenti sui listini di Internet company per complessivi 11 miliardi di dollari inizia

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L’Ipo che tutta la comunità finanziaria aspetta con trepidazione – a cominciare da Morgan Stanley e Goldman Sachs, le due banche d’affari che si contendono il ruolo di “lead underwriter” per accaparrarsi una commissione superiore al 2,2% - è anche lo specchio di un fenomeno, quello dei social network che sbancano a Wall Street, che molto ricorda la nascita della net economy negli anni 2000.

I numeri che accompagnano l’ingresso sui listini di Facebook rendono bene l’idea di cosa stiamo parlando: si stima infatti che la società possa raccogliere fino a 10 miliardi di dollari nell’offerta pubblica iniziale e di veder schizzare di conseguenza il proprio valore di capitalizzazione di mercato tra i 75 e i 100 miliardi di dollari.

Cifre che eclisserebbero i precedenti record relativi ad aziende tecnologiche: l’Ipo di Google, nel 2004, aveva rastrellato 1,9 miliardi di dollari valutando l’azienda di Mountain View 23 miliardi) mentre sui listini due colossi come Amazon e Hewlett-Packard valgono oggi rispettivamente 81 e 52 miliardi di dollari (con Apple che ne vale invece 390 di miliardi).

Ma al di là dei numeri sono le aspettative da vera e propria febbre da quotazione a riportare in auge l’atmosfera – sebbene le condizioni generali del mercato siano molto diverse - che si respirava (anche da questa parte dell’Oceano) prima dello scoppio della bolla Internet.

Secondo gli analisti di Bloomberg il 2012 potrebbe registrare il debutto sui listini di altre 14 rampanti tech company. Certo molto dipenderà da come evolverà la situazione economica in Europa e in particolare la crisi dell’Euro (nel Vecchio Continente la raccolta di fondi da agosto in avanti è diminuita del 95% rispetto all'anno precedente) ma sembra esserci cauto ottimismo per le prestazioni in Borsa dei nuovi titoli tecnologici, nonostante i non eccellenti risultati conseguiti dalle new entry del 2011.  


E tutto ruota intorno a Facebook. La società di Zuckerberg è infatti accreditata di raccogliere 10 degli 11 miliardi di dollari (cifra che rappresenta il picco  più alto post scoppio della bolla) relativi alle Ipo in agenda per i prossimi dodici mesi. Nomi sconosciuti a più come Yelp, sito di recensioni di ristoranti e locali in genere che grazie agli smartphone vanta ora diversi milioni di utenti, potrebbero catturare comunque l’attenzione di fondi, banche d’affari e investitori anche se accreditate di un potenziale valore cento volte inferiore a quello di Facebook.


Al traguardo dei 100 milioni di dollari mirano quindi aziende specializzate nel marketing digitale come ExactTarget e Glam, società quest’ultima che ha perfezionato di recente l’acquisizione del social network Ning. Altro nome in rampa di lancio per Wall Street è Gogo, start up che ha puntato con successo sui servizi di telefonia e connettività Internet per i voli privati e fatto poi breccia nel mercato dei collegamenti Wi-Fi per le compagnie aeree commerciali.

Quindi Brightcove, che punta a un Ipo da 50 milioni di dollari, e MobiTv, le cui aspettative sono di 75 milioni: entrambe hanno scommesso sui video live e on demand, online o dal cellulare, attraverso specifici accordi con gli operatori telefonici. Spara grosso infine Workday, società attiva nella gestione dei processi lavorativi attraverso soluzioni di cloud computing: in cantiere c’è un Ipo da 500 milioni di dollari.

Il boom del primo giorno e il rischio dello sboom a medio termine

In attesa dello sbarco a Wall Street di Facebook si può intanto guardare a come si sono comportate altre illustre firme del panorama social. Per esempio Groupon: nonostante i timori diffusi sul suo modello di business, il titolo del popolare sito delle vendite scontate è stato collocato a 20 dollari, è balzato il primo giorno fino a toccare quota 30 per poi assestarsi in chiusura attorno a 28 dollari. Alla fine della prima settimana di contrattazione era sceso a quota 24,25 dollari e oggi è stabile sui 20 dollari. 

LinkedIn, da parte propria, ha superato come picco massimo nel giorno del debutto  quota 122 dollari per chiudere la prima giornata a circa 94 dollari. l’azione del social network era stata collocata a 45 dollari, è scesa nei mesi fino al limite dei 56 dollari e nelle ultime sedute viene scambiata poco sopra i 76 dollari. Più stabile l’iter in Borsa di Zynga, il cui titolo è stato quotato a 10 dollari, è oscillato da un minimo di 8 fino a un massimo di 11,5 e oggi tornato al prezzo iniziale.

In generale i debutti a Wall Street del 2011 hanno segnato nel complesso un bilancio negativo (i dati sono di Dealogic) con una flessione dell'8% dal prezzo di collocamento iniziale; le Internet company hanno almeno avuto il pregio di andare benissimo al debutto, con un aumento medio del 28% che si raffronta con l’incremento del 7% registrato da quelle non hi-tech.

La storia recente dice dunque che dopo l’effervescenza iniziale anche i tanto desiderati titoli tecnologici sono destinati a perdere brio nel corso delle settimane successive al collocamento e lo dimostrano anche casi di aziende non nate nel cuore della Silicon Valley come la cinese Qihoo 360 Technology, la cui azione è balzata del 135% al momento del debutto (marzo 2011), è oscillata da un minimo di 13,7 a un massimo di 36,2 dollari e oggi è scambiata al Nyse a circa 17 dollari.

Adesso sotto la lente di ingrandimento c’è Facebook. La società si presenta all’appuntamento con la Borsa con un portafoglio di 800 milioni di utenti all’attivo e - questo dicono le ultime indiscrezioni che rimbalzano dagli Usa – con ricavi e utili operativi che nel 2011 sarebbero saliti a quattro miliardi di dollari e nell’ordine degli 1,5 miliardi.

E con un nutrito elenco di start up acquisite (fra queste Gowalla, Beluga e Digital Staircase) di cui però pubblicamente non si conosce l’entità degli investimenti profusi. Che non supera però l’ordine delle decine di milioni di dollari.


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