17/04/2018 di Redazione

Fake news e Facebook: un propagandista politico su due non esiste

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Loschi individui hanno cercato di influenzare gli esiti del confronto elettorale fra di Hillary Clinton e Donald Trump attraverso Facebook. Dov'è la novità? Ora ci sono le prove. Mentre il tema politico ed elettorale non riesce a smettere di essere di moda in Italia, e lo stesso si può dire (anche se le discussioni non le riguardano alleanze di governo, bens'ì la propaganda online) in relazione ai rappori tra il social network e i russi della Internet Research Agency (Ira) sedicente agenzia di marketing che ha lavorato dietro le quinte per influenzare decine di milioni di votanti nordamericani, spingendoli verso Donald Trump.

Young Mie Kim, una docente e ricercatrice della scuola di giornalimo dell'Università del Wisconsin-Madison, ha pubblicato ora i dettagli di uno studio condotto nell'autunno del 2016. Per sei settimane la studiosa, giovane di nome e di fatto, ha analizzato le comunicazioni pubblicitarie a sfondo politico presenti su Facebook per capire in che modo gli inserzionisti avessero operato per influenzare la massa dei votanti, attraverso il canale degli annunci a pagamento.

Il monitoraggio è stato condotto attraverso un'applicazione di tracciamento delle pubblicità (dal funzionamento simile a quello di un ad blocker), installata sui Pc di circa 9.500 volontari prestatisi a collaborare al progetto. Un campione rappresentativo della platea dei votanti, bilanciato su criteri demografici, ideologici e geografici. Fra settembre e novembre del 2016 i 9.519 volontari utenti hanno visualizzato, complessivamente, 5 milioni di inserzioni pubblicitarie pagate su Facebook.

 

Young Mie Kim

 

Un più ristretto campione di 50mila annunci è stato scandagliato in profondità per rilevare la presenza di temi sensibili come l'aborto, le pari opportunità, il possesso di armi, l'immigrazione, il terrorismo, il nazionalismo e gli scandali o presunti scandali sui candidati. Si è riusciti, poi, a ricondurre la valanga di 5 milioni di annunci a circa 228 gruppi o pagine individuati come autori delle inserzioni.

Ebbene, di questi 228 soggetti, circa metà non risultavano registrati in alcun registro governativo né potevano essere ricondotti a siti Web ufficiali. In sostanza, sembravano non esistere. Di fronte a questa massa di soggetti ignoti (122 gruppi definiti come “sospetti”) la professoressa è rimasta “scioccata”, come riporta Wired. Kim si aspettava di riscontrare una presenza digitale di gruppi che guadagnano denaro in modo poco chiaro o dall'identità nebulosa, “ma la portata delle campagne di inserzioni di questi attori sconosciuti era molto peggiore di quanto pensassi”. Dall'analisi è emerso anche come maggior parte delle inserzioni si rivolgesse a cittadini del Wisconsin e della Pennsylvania.

Il problema principale, credo, sono le scappatoie”, ha commentato Kim a proposito dei punti di debolezza di Facebook. “Non esiste una legge adeguata che si occupi della piattaforme di social media”. Le recenti azioni repressive intraprese dall'azienda di Mark Zuckerberg, oggi in crisi di credibilità per via dell'affaire Cambridge Analytica, sembrano essere “un passo nella giusta direzione”, come sottolineato dalla ricercatrice.

 

 

 

Recentemente Facebook ha rimosso 270 pagine controllate dalla Internet Research Agency russa e disttivato 30mila falsi account creati per influenzare le elezioni presidenziali francesi del 2017. Inoltre d'ora in poi chi voglia comprare spazi pubblicitari per inserzioni di tema politico dovrà fornire al social network una prova della propria identità, tramite indirizzi postali e altri documenti ufficiali. E lo stesso dovrà accadere per chi gestisca Pagine di Facebook che abbia un alto numero di iscritti. Ecco però una delle tante “scappatoie” osservate da Kim: per diffondere fake news e propaganda sleale, con qualche fatica in più, si potrebbe ancora ricorrere a una costellazione di piccole Pagine. D'altra parte erano piccole, per lo più, le 122 Pagine identificate nello studio come “gruppi sospetti”.

 

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