07/11/2017 di Redazione

Gli affari (e i miliardi) di Apple hanno trovato riparo a Jersey

Dall’inchiesta giornalistica Paradise Papers emerge il ruolo della piccola isola del Canale della Manica, dove la Mela avrebbe traslocato i propri profitti per eludere le tasse in seguito alla stretta sull’Irlanda. Cupertino si difende: “La nuova sussidia

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Jersey è un’isola nel Canale della Manica, vicina alla costa francese, in cui abitano poco più di 91mila abitanti. In queste ore, Jersey è al centro delle cronache mondiali: non per la sua pregiata razza bovina, ma per una questione fiscale. Secondo i Paradise Papers, 13 milioni di file ottenuti dal pool internazionale di giornalisti Icij, Apple avrebbe creato una struttura segreta sull’isola (dove le imposte per le aziende sono pari a zero) per evadere miliardi di tasse. L’idea, stando ai documenti rivelati dal giornalista del Guardian Simon Bowers, sarebbe venuta in mente al Ceo Tim Cook nel 2013, quando dall’Unione Europea iniziarono ad arrivare segnali poco incoraggianti circa le operazioni della sussidiaria della Mela in Irlanda, Paese dove il colosso californiano avrebbe ottenuto benefici fiscali illeciti per 13 miliardi di euro. Perché non abbandonare allora un poco alla volta Dublino per spostarsi di pochi chilometri, “sbarcando” sull’isola di Jersey?

Un progetto che Cook avrebbe prima accarezzato come un sogno per poi concretizzarlo un pezzo alla volta. In particolare, come rivela il New York Times, dopo essere stato convocato nel maggio 2013 da una commissione investigativa del Senato statunitense, secondo cui Apple sarebbe riuscita a non pagare decine miliardi di dollari di tasse registrando i profitti nella propria filiale irlandese (metodo noto come “double Irish”).

Dublino intrattiene infatti rapporti molto “amichevoli” con le multinazionali tecnologiche, ed è noto che il governo applichi aliquote prossime allo zero per favorire gli investimenti stranieri. Ma le indagini del regolatorio europeo stavano iniziando a diventare troppo pressanti e serviva una svolta. Dopo aver ascoltato il parere di diversi consulenti, tra cui lo studio legale Appleby di Bermuda (da cui provengono i documenti visionati dall’Icij), la dirigenza della Mela prese una decisione: Jersey sembrava essere la scelta migliore.

E spostare la residenza fiscale nel Canale, d’altronde, non avrebbe nemmeno smentito quanto dichiarato dallo stesso Cook al Senato Usa: “Paghiamo sempre tutto il dovuto, non dipendiamo da trucchetti e non accumuliamo scorte segrete di denaro in qualche atollo caraibico”. In effetti, a Jersey il clima è diverso rispetto alle Cayman. Quello sollevato ora dai Paradise Papers è quindi un nuovo polverone, che potrebbe costringere Cupertino a rivedere seriamente il proprio modus operandi.

Nel frattempo, l’azienda ha affidato la propria difesa a una nota ufficiale. Costretta ad ammettere la struttura di Jersey, Apple ha però cercato di alleggerire la propria posizione affermando che “il cambiamento apportato alla nostra struttura societaria nel 2015 fu ideato per assicurare che gli obblighi e i pagamenti fiscali verso gli Usa non venissero ridotti, così come da nessun’altra parte. Né le nostre operazioni né gli investimenti sono stati spostati dall’Irlanda”.

 

Tim Cook, Ceo di Apple

 

Cupertino, come fa da sempre, sostiene inoltre che le imposte vadano versate dove viene effettivamente creato il vero valore. “La maggior parte del valore dei nostri prodotti nasce indiscutibilmente negli Stati Uniti, dove portiamo avanti design, sviluppo, componente ingegneristica e molto altro, quindi maggior parte dei nostri tributi va pagati agli Usa”. Cosa che la società dichiara di fare, versando ogni anno miliardi di dollari anche a causa dei “redditi da investimento” della controllata di Jersey.

Negli ultimi tre anni sono stati 35 i miliardi pagati dal gruppo, che sostiene di essere il “più grande contribuente del mondo”, a cui viene applicata un’aliquota media a livello globale del 24,6 per cento, più alta di quella previste per le altre multinazionali. “Il dibattito sulle tasse di Apple non fa riferimento a quanto dobbiamo pagare, ma dove dobbiamo farlo”. Fatto sta che Cupertino negli anni ha accumulato in fondi offshore un tesoro da 252 miliardi di dollari.

Cosa succederà adesso? L’Unione Europea ha già fatto sapere di essere pronta a integrare i documenti nell’indagine ancora aperta su Apple. Il commissario per gli Affari Economici, Pierre Moscovici, ha parlato di “notizie sconvolgenti” e di “scandalo”, lanciando un nuovo appello ai Paesi della Ue per far sì che venga adottata “il prima possibile” una lista nera europea dei paradisi fiscali. Senza contare il progetto della Web tax, di cui si parla da tempo.

Negli Stati Uniti, invece, si discute di un eventuale taglio delle imposte federali sulle società, con una riduzione dell’aliquota dal 35 al 20 per cento. Un progetto che piace molto ai falchi repubblicani, assecondati da Donald Trump, secondo cui l’allentamento della pressione fiscale consentirebbe alle corporation di riportare negli States oltre 2.600 miliardi di dollari ora dormienti nelle sussidiarie offshore.

 

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