26/01/2018 di Redazione

Google, Android è la porta di accesso perfetta ai dati degli utenti

La rivista Quartz ha indagato in profondità su quali informazioni i server di Big G ricevono dai dispositivi del robottino verde. Il sistema operativo, tramite la funzionalità Location History e le app preinstallate, è in grado di leggere una quantità di

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Che Google (come altre società) analizzasse i dati degli utenti tramite Android era una cosa risaputa. Le informazioni inviate dai dispositivi elettronici ai server di Big G, come ad esempio la geolocalizzazione, servono usualmente per migliorare i servizi offerti dal colosso di Mountain View e per proporre pubblicità mirate. Ma, effettivamente, quali e quanti dati l’azienda è in grado di leggere? La testata Quartz si è presa la briga di indagare. I risultati sono stati sbalorditivi e, a tratti, anche inquietanti. Dagli spostamenti effettuati dall’utente alla pressione atmosferica, passando per gli indirizzi Mac degli access point a cui ci si connette o l’eventuale presenza di device Bluetooth nelle vicinanze. Senza considerare informazioni di sistema come il livello di carica del terminale, il voltaggio della batteria e così via.

Un vero e proprio tesoro che Google colleziona grazie ai numerosi servizi e applicazioni presenti negli smartphone Android: Gmail, ricerche, Maps, Assistant, solo per citarne alcuni. Per capire fino a che punto si spinge la pervasività della raccolta, il team di Quartz ha esaminato lo scambio di dati su tre device: Pixel 2, Samsung Galaxy S8 e Moto Z Droid. Tutti i cellulari erano collegati a una rete portatile create appositamente per intercettare le comunicazioni e nessuno di loro era dotato di carta Sim.

“Siamo stati in centri commerciali, negozi, ristoranti, bar e abbiamo camminato per le aree urbane. La nostra appliance ha registrato tutte le richieste di rete più rilevanti”, si legge nel reportage di Quartz. Il meccanismo che innesca il processo è la cosiddetta “Location History”, una tecnologia di Google lanciata inizialmente nel 2009 e alla base dei consigli che i device Android restituiscono all’utente (attività, traffico stradale e così via).

Un servizio che di default è disattivato, ma l’opt-in è furbescamente annegato nelle impostazioni delle principali app di Google presenti nei terminali Android. “Abbiamo scoperto che nessuna di queste applicazioni utilizza le stesse parole per descrivere cosa succede effettivamente quanto si attiva la Location History e nessuna, soprattutto, indica in modo esplicito che la sua accensione consente a tutte le app di Google, e non solo a quella specifica che richiede il permesso, di avere accesso ai dati”.

Contattata via mail, Big G ha risposto: “Google utilizza, su permesso, la Location History per fornire risultati e consigli migliori quando l’utente usufruisce dei nostri prodotti. Per esempio quando si ricevono le previsioni del traffico sulla strada per il lavoro, oppure quando le fotografie vengono raggruppate in base al luogo […]. La Location History si basa interamente sull’opt-in ed è sempre possibile modificarla, cancellarla o disinserirla”.

Secondo Quartz, il problema è che, pur chiedendo ogni volta l’autorizzazione all’uso, i limiti della funzionalità non sono chiari e variano sensibilmente da applicazione ad applicazione. Si prenda ad esempio la classificazione degli album fotografici. Una volta dato l’ok alla Location History, lo smartphone trasmette ai server della società californiana in quali negozi sono stati effettuati acquisti e in quali ristoranti l’utente ha mangiato.

 

 

Le informazioni vengono raccolte grazie ai beacon Bluetooth e alle reti Wifi a cui ci si collega e non c’è modo di limitare il raggio d’azione della funzionalità. Quanto conviene allora permettere a Google di ficcare il naso nella nostra vita privata? Dipende. Se siamo interessati a ricevere contenuti e inserzioni pubblicitarie in linea con i nostri interessi, la Location History si rivela utile. Se vogliamo salvaguardare maggiormente la nostra privacy, allora sarebbe forse meglio spegnerla.

Dal canto suo, Mountain View potrebbe fare bella figura con un’operazione trasparenza, prevedendo delle descrizioni più puntuali sul raggio d’azione della raccolta dati e fino a che punto l’attivazione di una funzionalità del genere influisca sul comportamento delle app. Ad ogni modo, come ricordato dall’azienda, è possibile gestire o cancellare completamente la cronologia. Le istruzioni sono riportate a questa pagina.

 

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