28/11/2017 di Redazione

Google butta acqua sul fuoco: nessuna censura ai siti russi

L'azienda di Mountain View ha chiarito al Roskomnadzor alcune dichirazioni fatte da Eric Schmidt in merito al downranking di siti come Russia Today e Sputnik. Nessuna modifica all'algoritmo, ma semplice declassamento delle pagine non attendibili.

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Se pensiamo alle tecnologie e all'informazione online, non si può dire che rapporti Russia-Stati Uniti stiano vivendo una fase di distensione. A valle della scoperta del Russiagate, Google sta proseguendo nella propria crociata anti-bufala ma è stata costretta a fornire alcuni chiarimenti al Roskomnadzor, per dimostrare di non essere amica della censura. E per evitare grane, probabilmente. All'organo di controllo delle telecomunicazioni, della proprietà intellettuale e della privacy non è piaciuto l'annuncio giunto qualche giorno fa da Alphabet: il motore di ricerca di Big G e il servizio Google News declasseranno, nella visualizzazione dei risultati, le pagine di siti come Russia Today e Sputnik.

I due portali di notizie, che beneficiano di finanziamenti del Cremlino, in passato hanno dimostrato una certa tendenza a diffondere fake news su Hillary Clinton e sul Partito Democratico. Per la società di Mountain View il downgrade non sarà frutto di una censura preventiva, bensì la conseguenza delle logiche dell'algortimo di Google, che privilegiano le notizie verificate e penalizzano quelle false. Nessuna pagina Web sarà oscurata né sarà oscurata dai “filtri” dei servizi di Google, ma semplicemente i contenuti di disinformazione perderanno visibilità.

Il principio di ricerca della verità era già stato spiegato settimane fa da Eric Schmidt, il Ceo di Alphabet, durante una conferenza stampa. Ma le dichiarazioni in cui parlava del declassamento di siti simili a Sputnik (in risposta alla domanda di un giornalista) hanno preoccupato il Roskomnadzor, che si è mosso per chiedere chiarimenti. E Google, come svelato da Reuters, ha tentato di gettare acqua sul fuoco con una lettera in cui si ribadisce l'assenza di volontà censorie e in cui si chiarisce un meccanismo importante: l'algoritmo non viene modificato per variare il ranking di singoli siti Web. “Parlando del renking di fonti Web, fra cui i siti RussiaToday e Sputnik, Eric Schmidt si stava riferendo al continuo impegno di Google nel migliorare la qualità del motore di ricerca”, si legge nella lettera. “Non modifichiamo l'algortimo per alterare il ranking”.

Non resta che attendere, ora, eventuali contromosse del Roskomnadzor oppure che la vicenda si risolva senza ulteriori polemiche. Intanto, Facebook sta proseguendo nell'opera di “mea culpa” sui 126 milioni di post di disinformazione e bufale pubblicati sul social network nell'arco di circa due anni da soggetti vari, forse legati al Cremlino o forse a Donald Trump, ma indiscutibilmente avversi al partito di Hillary Clinton. A dire il vero, più che un'ammissione di colpa (negligenza, se non altro), quella dell'azienda di Menlo Park è una piccola azione riparatrice: a breve gli utenti potranno verificare eventuali “like” e iscrizioni a pagine legate alla Internet Research Agency.

 

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