08/09/2015 di Redazione

Google ci ripensa: pronta a tornare in Cina in autunno?

Secondo un’indiscrezione diffusa dal sito The Information, l’azienda vorrebbe tornare a offrire servizi nel Paese del Dragone, dopo l’addio volontario del 2010. Sembra che il colosso di Mountain View stia trattando con alcuni vendor, come Huawei, per inst

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Google potrebbe chiedere aiuto al proprio servizio di traduzione per rendere la frase “business in business” in mandarino. Perché il richiamo della seconda economia mondiale, pur se temporaneamente in affanno, è troppo forte anche per Big G. Secondo voci di corridoio diffuse online, il colosso di Mountain View sarebbe pronto a tornare sul mercato cinese dopo cinque anni di assenza. È infatti dal 2010 che Google non è presente con la propria gamma di servizi nel principale Paese asiatico: da quando, cioè, l’azienda decise di levare le tende perché preoccupata dalla possibilità di subire attacchi informatici dalla folta comunità di hacker cinesi. Senza considerare il rischio di essere sorvegliati dal grande fratello elettronico messo in piedi negli anni dal governo di Pechino. Ma lo scenario potrebbe ora cambiare, se dovesse essere confermata l’indiscrezione che vuole Big G in procinto di lanciare una versione cinese del Play Store.

Quando? Forse in autunno, riporta il sito The Information, il primo a lanciare la notizia. Quasi certamente, comunque, entro la fine del 2015. Ma cos’è cambiato nel Paese asiatico in questo lustro per convincere Google a tornare sui suoi passi? Praticamente nulla, ma in tempi di crisi generale nessuna compagnia, per quanto grossa e potente, può permettersi di non flirtare con Pechino. Secondo The Information, la casa di Mountain View avrebbe avviato trattative con i principali vendor cinesi, Huawei in primis, per includere l’applicazione Play Store negli smartphone, al momento sprovvisti.

Agli osservatori più attenti non sfuggirà l’incongruenza: il principale sistema operativo mobile al mondo è Android, sviluppato proprio da Google e, a luglio 2015, quasi tre cellulari circolanti in Cina su quattro disponevano proprio di questo os. Com’è possibile allora che una delle applicazioni fondamentali del pacchetto, vale a dire Play Store, non sia inclusa nell’ecosistema del robottino verde? A quanto pare, è proprio così: i produttori di smartphone nelle altre zone del pianeta ottengono la licenza da Big G per installare Android.

Ma non quelli cinesi, che sono quindi “costretti” a utilizzare versioni personalizzate dell’ecosistema, escludendo di conseguenza tutti i servizi firmati dalla casa di Mountain View: Gmail, Drive, Maps e così via. Colossi come Huawei e Xiaomi possono generare profitti maggiori offrendo agli utenti i propri store online, distribuendo così le applicazioni sia in modo autonomo che tramite altri negozi virtuali, come quello sviluppato dal motore di ricerca Baidu.

Ovviamente, una volta stretti gli accordi commerciali con i vendor locali interessati, le intenzioni di Google dovranno anche ottenere il lasciapassare del governo centrale, con cui il colosso a stelle e strisce non si è lasciato proprio in buoni rapporti. Nel 2010 il cofondatore di Big G, Sergey Brin, fu uno dei maggiori critici dell’esecutivo di Pechino, ma da allora di acqua sotto i ponti ne è passata parecchia, soprattutto nei dintorni di Mountain View.

 

Fonte: Google Maps

 

Brin ultimamente ha fatto importanti passi indietro nella gestione esecutiva del gruppo e si sta dedicando principalmente ai progetti fantascientifici portati avanti nel centro Google X Labs e il prossimo nuovo Ceo, Sundar Pichai, sembra più bendisposto verso l’oriente. Si dovrà ora vedere quali limitazioni verranno imposte ai servizi di Big G, quali applicazioni verranno bloccate e, soprattutto, se Google accetterà queste condizioni senza battere ciglio.

 

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