16/01/2012 di Redazione

Google replica a Murdoch e ripunta sulla Cina

Il colosso di Mountain View scommette sui 500 milioni di internauti della Repubblica Popolare, annunciando lo sviluppo di nuovi servizi di ricerca e il lancio dell'Android Market. Occhi puntati sui 200 milioni di utenti cinesi di e-commerce. E intanto ris

immagine.jpg

Pechino val bene una messa: è questa, in sostanza, la riflessione che guiderà Google nei suoi imminenti prossimi passi volti alla (ri)conquista della Cina, abbandonata due anni fa come segno di protesta per la censura operata - senza ammissioni - dalla Repubblica Popolare nei confronti dei siti e dei risultati di ricerca sul motore non politicamente allineati. 

Gli uffici Google a Beijīng

L'annuncio della rinnovata attenzione per il mercato del Paese asiatico è arrivato in questi giorni per bocca di Daniel Alegre, presidente worldwide mobile and Asia-Pacific. Che, come ha riportato la scorsa settimana il Wall Street Journal, ha dichiarato ai media cinesi che Google sta assumendo nuova forza lavoro - ingegneri, venditori e product manager - nei propri uffici di Pechino. Obiettivo: il lancio di "nuovi servizi per gli utenti cinesi".

Tutti ricordano come dal gennaio 2010, alla luce delle censure del governo popolare e dopo l'hackeraggio subito da Gmail, per protesta Google abbia smesso di offrire il servizio di ricerca sul proprio sito cinese, impostando il reindirizzamento automatico sulla versione di Hong Kong, non autocensurata ma soggetta alla censura cinese. E non è chiaro se e cosa potrà cambiare su questo fronte, perché Alegre ha fatto accenno non al core business delle ricerche Web, bensì a quello crescente legato ad Android e ai dispositivi mobili.

Google, infatti, nelle dichiarazioni del dirigente svilupperà l'online advertising e i servizi di ricerca legati ai prodotti (sulla scia del recente lancio della versione beta di Shihui, un tool che segnala siti che vendono prodotti scontati), ma soprattutto estenderà al Paese del dragone la possibilità di acquistare apps dall'Android Market, un servizio attualmente non disponibile per gli internauti cinesi.

I motivi della rinnovata attenzione  del numero uno del Web nei confronti della Repubblica Popolare non sono difficili da immaginare: la Cina conta 500 milioni di internauti (contro i 220 degli States), di cui 200 milioni sono regolari clienti di e-commerce. Per Mountain View, un mercato evidentemente troppo ghiotto per rinunciarvi in nome di un principio.

Non è da escludere, inoltre, che attraverso Android e i nuovi servizi legati alla ricerca prodotti in Cina Google non riesca a far recuperare un po' di popolarità anche al suo motore, attualmente confinato al 17,2% di market share e in significativo calo rispetto al 36% di fine 2009 (dati di Analysys International, società di ricerca di Pechino), ben distante dalla leadership del "politicamente corretto" Baidu.

Rupert Murdoch ha definito Google "piracy leader" in un post su Twitter


Dagli Usa, inoltre, è rimbalzato ieri tramite Cnet un botta e risposta assai piccato fra il colosso californiano e il numero uno di News Corp. Rupert Murdoch. Il magnate australiano, su Twitter, aveva infatti postato sabato alcuni messaggi particolarmente critici nei confronti di Google e del Presidente Usa Barak Obama, etichettando la prima come “piracy leader” e il secondo come un dipendente al soldo dei colossi della Silicon Valley.

Murdoch, senza troppi giri di parole, ha accusato Google di generare profitti dalla pubblicità legata ai prodotti piratati e da Mountain View hanno risposto per le rime (ieri, con una lettera inviata alla testata americana) spiegando come si tratti – riferendosi alle parole del Presidente di News Corp - di un evidente “nonsense”.

L’anno passato, ha scritto un portavoce di Google, abbiamo rimosso cinque milioni di pagine Web lesive dai risultati del nostro motore di ricerca e investito oltre 60 milioni di dollari per combattere le pubblicità relative a pirati e truffatori”. La polemica sollevata da Murdoch ha in effetti ragioni  ben definite: News Corp, al pari di altri grossi nomi del settore media, ha sostenuto due proposte di legge antipirateria – lo Stop Online Piracy Act e il Protect IP Act, osteggiate invece da diverse tech company – la cui valenza è quella di proteggere le media company da siti che fuori dagli Usa (e quindi fuori dalla giurisdizione delle leggi americane) operano con contenuti piratati.

Google, invece, è convinta del fatto che per combattere la pirateria occorra battere altre strade. In ogni caso è curioso come la schermaglia dialettica abbia trovato risalto sul social network tanto caro al Presidente Usa.


Ha collaborato Gianni Rusconi


scopri altri contenuti su

ARTICOLI CORRELATI