15/04/2015 di Redazione

Google sulla graticola per la probabile multa da sei miliardi

La Commissione Antitrust dell’Unione Europea è pronta a scagliare il suo macigno (in dollari) contro Big G, per abuso di posizione dominante nel Vecchio Continente. Sotto accusa sia lo shopping online che Android. La decisione preliminare è arrivata oggi,

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Abuso di posizione dominante: è questa l’accusa che le autorità antitrust europee sono ormai pronte a scagliare contro Google, sotto la lente dei commissari del Vecchio Continente da ben cinque anni. Dopo mesi di indiscrezioni, tentativi di riconciliazione ed eserciti di legali schierati, sembra che per Big G non ci sia più nulla da fare.

La multa, decisamente salata, secondo le anticipazioni diffuse ieri dal Wall Street Journal potrebbe superare i sei miliardi di dollari e polverizzare così quella inflitta dall’antitrust Ue a Microsoft nel 2008 (1,3 miliardi). Le voci di corridoio hanno pesato subito sul titolo di Google, che ha perso ieri a Wall Street l’1,6%.

La decisione provvisoria presa oggi dalla commissione guidata da Margrethe Vestager ha però lasciato un piccolo spiraglio di salvezza per Mountain View. Il colosso Usa ha infatti dieci settimane di tempo per giocarsi le ultime carte e provare a convincere l'authority della sua innocenza. Altrimenti, Big G sarà costretta ad aprire i cordoni della borsa. E non solo. Dovrà anche cambiare in modo significativo il suo modus operandi in Europa, soprattutto sui risultati indicizzati in fase di ricerca. La causa ha avuto infatti origine da una serie di reclami di siti Web dell’Unione che, negli scorsi anni, si sono lamentati della visibilità delle loro pagine sul motore di ricerca. Big G avrebbe favorito i propri marchi, a discapito della concorrenza.

Oltre alla presunta non neutralità nel mostrare i risultati di ricerca, le accuse mosse a Google riguardano l’utilizzo di recensioni e punteggi di siti concorrenti, fra cui Amazon, per alimentare i propri servizi e alcune limitazioni imposte a chi vende o fa pubblicità online (come l’impossibilità di servirsi di motori di ricerca altrui). Ma la querelle investe in pieno, ed è notizia di oggi, anche il sistema operativo Android. "Smartphone, tablet e dispositivi simili svolgono un ruolo sempre più importante nella vita delle persone", ha commentato Vestager. "Dobbiamo essere certi che i mercati possano svilupparsi anche in questo settore senza pratiche anticoncorrenziali".

 

 

Dopo due anni di vani tentativi di patteggiamento il colosso dovrà, salvo sorprese, arrendersi. Secondo alcuni calcoli, Mountain View totalizza il 35% dei suoi ricavi in Europa e circa il novanta per cento degli utenti del Vecchio Continente si affida al suo motore di ricerca per navigare nel Web. Un dato molto più elevato rispetto agli Stati Uniti: negli Usa la quota si ferma infatti al 65%.

"Nel caso di Google", ha aggiunto Margrethe Vestager, "siamo preoccupati che la società abbia potuto ottenere un vantaggio sleale al proprio servizio di comparazione prezzi per l'e-shopping, violando così le norme antitrust dell'Unione Europea. Ma la società ha ora l'opportunità di convincerci del contrario".

Ed è quello che Big G farà: la replica dei vertici societari non si è fatta attendere ed è stata affidata a un lungo post firmato da Amit Singhal, senior vice president di Google Service. Nell'articolo sul blog di Mountain View, Singhal prova a illustrare, grafici alla mano, il reale impatto dei servizi complementari di ricerca dell'azienda sui competitor. Prendendo il tanto contestato Google Shopping, al centro della multa dell'Unione Europea, si nota ad esempio come i visitatori unici sulla variante britannica del sito siano di gran lunga inferiori a quelli di altre realtà di shopping online, come Amazon o Ebay.

Comunque, Singhal ha dichiarato la volontà della compagnia di collaborare pienamente con le autorità europee, malgrado l'azienda si ritenga ovviamente innocente. "Sebbene Google possa essere il motore di ricerca più utilizzato", conclude il seniore vice president, "gli utenti possono ora trovare e accedere alle informazioni in molti altri modi. Le accuse di causare danni alla concorrenza si sono rivelate ampiamente fuori bersaglio".

 

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