10/09/2019 di Redazione

Google tartassata: indagine antitrust negli Usa, accuse dal Cremlino

Ben 48 Stati Usa hanno avviato un’indagine preliminare su possibili violazioni della concorrenza compiute da Big G in campo pubblicitario. In Russia, invece, l’azienda è accusata di aver interferito con gli affari interni durante il periodo di campagna el

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Google ha ancora delle grane, che per una volta non arrivano da Bruxelles bensì dagli Stati Uniti e dalla Russa: un problema di antitrust, nel primo caso, e di sconveniente commistione con gli affari politici nel secondo. Andiamo per ordine, cominciando dalla notizia di un’indagine antitrust (su cui erano già circolate voci) avviata contemporaneamente dai procuratori generali di 48 Stati degli Usa, coordinati da quello del Texas, Ken Paxton. Una coalizione bipartisan, dunque, in cui gli unici assenti sono California e Alabama. 

Che cosa avrebbe fatto di male questa volta l’azienda del gruppo Alphabet, dopo essere già stata severamente punita dall’antitrust europeo con tre multe esemplari (per Android, Adsense e Google Shopping) e, più recentemente, dalla Federal Trade Commission per aver violato la privacy dei bambini attraverso YouTube? Secondo la nuova indagine antitrust avviata dai 48 Stati federali, Big G avrebbe violato le regole della concorrenza leale per quanto concerne l’advertising. Ma forse, indagando, si scoprirà altro.

“Al momento stiamo investigando sulla pubblicità, ma vedremo dove ci porteranno i fatti”, ha detto Paxton ai giornalisti. Google, ha argomentato il procuratore, “domina tutti gli aspetti dell’advertising su Internet e nelle ricerche Web”, sia dal punto di vista degli acquisti sia della vendita di spazi pubblicitari, sia delle aste che stabiliscono i prezzi e sia, ancora, nell’ambito dell’advertising video attraverso YouTube. Il dubbio alla base dell’investigazione è che Google possa usare la propria posizione dominante per manipolare in modo scorretto i risultati del motore di ricerca. 

Come risaputo, da sempre la policy di funzionamento del motore di ricerca prevedere che i risultati sponsorizzati siano chiaramente presentati come tali e distinguibili dai risultati organici. Ci sarebbe però il sospetto che il colosso di Mountain View, in effetti, non sia trasparente come afferma di essere. “Analisi molto convincenti suggeriscono che un travolgente numero di risposte alle query sia collegato con le attività di Google e/o con i suoi inserzionisti che pagano per avere quello spazio”, ha aggiunto Paxton. Bisognerà ora attendere futuri sviluppi dell’indagine per capirci qualcosa in più, e nel frattempo già la settimana scorsa Google aveva fatto sapere alla redazione di Zdnet di voler collaborare con gli inquirenti e con i procuratori generali per chiarire le proprie ragioni.

La questione russa in cui Google si ritrova invischiata è di tutt’altro sapore. Il Roskomnadzor, cioè l’autorità delle telecomunicazioni sottoposta al Cremlino, accusa l’azienda californiana di aver interferito indebitamente con gli “affari interni”. E più precisamente con le lezioni locali dell’8 settembre, dalle quali il partito di Vladimir Putin è uscito decisamente indebolito: nel voto per il rinnovo della composizione della Duma, ha perso un terzo dei seggi. L’accusa in realtà non è rivolta soltanto a Google ma anche a Facebook. “Il monitoraggio dei mass media nel giorno del voto ha accertato la presenza di advertising politico sul motore di ricerca di Google, su Facebook e su YouTube”, ha detto il Roskomnadzor. E questo “può essere considerato come un’interferenza negli affari su cui la Russia la sovranità e un ostacolo allo svolgimento di elezioni democratiche”. Il caso è spinoso, considerando soprattutto la natura non esattamente democratica di uno Stato che a parole difende le proprie “elezioni democratiche”. Facebook ha comunque già replicato all’indirizzo del Cremlino, sottolineando che la responsabilità di rispettare le regole sul silenzio elettorale spetta agli inserzionisti, e non al social network.

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