14/12/2015 di Redazione

Grandi aziende a caccia di startup per far crescere il Pil

Secondo un nuovo rapporto di Accenture, una collaborazione efficace tra le corporation del nostro Paese e le giovani realtà imprenditoriali spingerebbe il prodotto interno lordo di 1,9 punti, per un valore aggiuntivo di 35 miliardi di euro. Ma gli scogli

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Non c’è sviluppo senza mutua collaborazione: le grandi aziende devono guardare alle giovani startup per affrontare con successo il mercato e per scaricare a terra un’energia che potrebbe valere, solo in Italia, un aumento del Pil di 1,9 punti pari a 35 miliardi di euro. E tre imprese su quattro sono convinte della bontà del coinvolgimento delle startup per la trasformazione del business in salsa digitale, ma rimane ancora un grande scoglio da superare: quali modelli di collaborazione adottare? Lo scenario della cosiddetta “open innovation” di oggi è tratteggiato dall’ultimo report di Accenture, intitolato “Harnessing the power of entrepreneurs to open innovation” e pubblicato insieme alla G20 Young Entrepreneurs Alliance dopo aver raccolto dati e testimonianze da circa mille imprenditori e aziende delle prime venti economie mondiali. Il dubbio principale, quindi, si può riassumere nella nelle seguenti parole pronunciate da un esponente di spicco di un campus tecnologico della Silicon Valley: “Le grandi aziende vogliono lavorare con le startup, ma non sanno come fare”.

Discorso valido in tutte le aree del globo. Infatti, sebbene il 49% delle principali imprese del nostro Paese riconosca che lavorare con le giovani realtà sia importante o addirittura essenziale per la crescita e l’innovazione, soltanto il 17% ritiene che nella collaborazione le startup si impegnino per la crescita dell’azienda. Così come, d’altro canto, solo il 22% dei piccoli imprenditori ritiene che i grandi partner dedichino un adeguato impegno a sostenere la crescita delle giovani società sparse sul territorio.

E ad infilarsi nella crepa come un cuneo sono le differenze di cultura manageriale, in grado di accentuare ulteriormente le divisioni. Le grandi aziende, per esempio, ritengono di avere un approccio sufficientemente imprenditoriale, ma il 67% degli startupper che prima lavoravano in realtà di grandi dimensioni le hanno poi lasciate perché non riuscivano a esprimere la propria imprenditorialità. E il dato italiano è addirittura sotto la media, in quanto a livello dei Paesi del G20 si arriva anche al 75%.

 

 

“Il cammino verso l'open innovation obbliga le aziende a riconoscere che la collaborazione non può più essere attuata solo alle loro condizioni o unicamente per il loro vantaggio, mentre le startup chiedono riconoscimenti e tempi brevi di riscontro”, commenta Marco Morchio, Accenture strategy lead per Italia, Europa Centrale e Grecia. “È necessario stimolare l’adozione di nuovi modelli di collaborazione, sfruttando il potenziale di tutte alternative disponibili, e adottare meccanismi che riescano a sincronizzare gli obiettivi di tutte le parti in gioco in ottica win-win”.

La posta in palio è davvero alta. Secondo il Digital Collaboration Index di Accenture, le imprese più impegnate nella open innovation presentano tassi maggiori di crescita del fatturato. Se tutti gli imprenditori e le grandi società arrivassero allo stesso livello di collaborazione, l’incremento del giro d’affari delle aziende italiane potrebbero passare dal 3% al 14% per i singoli startupper e dal 5% al 10% per le organizzazioni di grandi dimensioni.

L’impatto sul Pil a livello mondiale sarebbe pari a 1.450 miliardi di dollari, per un aumento di 2,2 punti percentuali. Con tassi variabili a seconda dei singoli Paesi presi in considerazione: si andrebbe dal più 1,8% del Giappone al più 4,1% della Russia. Se tutte le organizzazioni del G20 dovessero riuscire a raggiungere alti livelli di collaborazione nei prossimi sei anni, l’output economico globale annuo potrebbe crescere di uno 0,3% aggiuntivo tra il 2015 e il 2020.

 

 

La “to do list” per rendere davvero efficace la collaborazione

Cosa fare quindi per liberare le enormi potenzialità della open innovation? I consigli di Accenture sono differenti, a seconda del lato da cui si inquadra il problema. Le raccomandazioni per le grandi aziende sono sostanzialmente tre. Innanzitutto, le imprese dovrebbero stabilire una strategia chiara per definire risultati condivisi e precisi meccanismi di governance, in modo da sincronizzare gli sforzi dei diversi attori coinvolti nel processo di innovazione. Il secondo passo è rappresentato dallo stanziamento di fondi adeguati per portare le idee oltre la fase pilota. Infine, è fondamentale la promozione della cosiddetta “cultura dell'intraprenditorialità”, che coinvolga i propri dipendenti in programmi di affiancamento alle startup.

Le giovani e promettenti realtà dovrebbero invece cercare di allinearsi in maniera maggiore al mercato, riconoscendo bisogni e interessi specifici delle corporation con cui vogliono collaborare; adattarsi alla cultura dei grandi gruppi, che spesso implica tempi decisionali molto più lunghi; prevedere l’appoggio esterno di tutor e “mentori” professionisti, che sappiano districarsi nella gestione quotidiana del business e, infine, proporsi alle aziende con i giusti tempi, quando il prodotto che si vuole lanciare è ormai uscito con successo dalla prima fase di ideazione e può trasformarsi davvero in qualcosa di concreto da proporre al mercato.

 

 

Le strategie suggerite per l’Italia, invece, comprendono tra le altre cose la sincronizzazione della politica industriale con l’agenda dell’innovazione, valorizzando quei settori dove l’eccellenza del nostro Paese è già riconosciuta a livello internazionale (come il manifatturiero); accelerare gli investimenti nell’infrastruttura digitale, sostenere programmi per superare le barriere culturali e cambiare la cultura del management rispetto all’open innovation.

 

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