06/07/2017 di Redazione

I chip a tre dimensioni salveranno la legge di Moore?

Ricercatori di Stanford e del Mit hanno realizzato un prototipo che “impila” processore, memoria resistiva e sensori in un unico cubo, sfruttando le proprietà del grafene e dei nanotubi in carbonio. Soluzioni di questo genere eliminano i colli di bottigli

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Il grafene salverà i processori dal diluvio di dati. Un team di ricerca congiunto fra l’Università di Stanford e il Mit ha pubblicato un lavoro su Nature in cui viene descritto un chip 3D che unisce, impilati su diversi strati, processore, memoria ed eventualmente anche sensori. Tutto in una singola unità. Per arrivare a questo risultato, gli scienziati hanno fatto a meno del silicio, puntando su nanotubi in carbonio ottenuti dal grafene. Sopra la Cpu è stata posizionata una Ram resistiva (nota come Rram o Reram), tipologia di memoria permanente ancora in fase di sviluppo. Portare sullo stesso chip capacità di elaborazione e di storage ha un vantaggio immediato: si eliminano i cosiddetti colli di bottiglia causati dall’obbligatorio trasferimento dei dati dal processore alla Ram.

Affiancare i due componenti sullo stesso “blocco” di silicio non è possibile, a causa della continua miniaturizzazione a cui vengono sottoposti i chip. Da qui l’idea dei ricercatori di sfruttare lo spazio verticale al posto di quello orizzontale. Il prototipo di Stanford e Mit è composto da oltre un milione di celle Rram e da due milioni di transistor realizzati con i nanotubi in carbonio.

Gli esperti, nella nota stampa ufficiale, hanno definito la nuova architettura 3D la più complessa mai realizzata sfruttando le nanotecnologie emergenti. Il grafene presenta un secondo vantaggio, che si è rivelato fondamentale per riuscire a “impilare” i vari strati. Con questo materiale è possibile lavorare a temperature di produzione inferiori rispetto a quelle utilizzate per i transistor tradizionali, che superano i mille gradi Celsius.

Le memorie Rram e i processori in carbonio rispondono già a duecento gradi e “possono così essere sovrapposti senza danneggiare gli strati sottostanti”, ha spiegato Max Shulaker, principale autore dello studio e uno dei membri più autorevoli del Microsystems Technology Laboratories del Mit. La nuova architettura porta alla realizzazione di dispositivi più efficienti dal punto di vista energetico, mentre la Rram può essere più densa e veloce se confrontata con i classici moduli Dram.

 

Credits: Nature

 

Il prototipo sviluppato dai due centri di ricerca potrebbe diventare il salvatore della legge di Moore, quanto mai in crisi negli ultimi tempi a causa di insormontabili (almeno per ora) barriere fisiche, che hanno determinato un sensibile rallentamento nei tempi di evoluzione dei transistor. Il sistema, inoltre, è compatibile con l’infrastruttura in silicio odierna, sia in termini di produzione sia di progettazione.

Fra i principali campi di applicazione dei nuovi chip spiccano le reti neurali, ma anche la costruzione di sensori per diagnosticare in tempi rapidi le malattie. Gli scienziati hanno già infatti provato a posizionare in cima al componente sensori basati su un milione di nanotubi al carbonio, sfruttati per identificare e classificare i gas presenti nell’ambiente. La sperimentazione è andata a buon fine, ma un eventuale lancio commerciale è al momento ancora fantascienza.

 

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