21/06/2019 di Redazione

I dazi sul made in China danneggiano Apple, pressioni sul governo

La società di Cupertino si è rivolta al rappresentante al commercio del governo statunitense per chiedere di non approvare l’imposta al 25% sulle importazioni dalla Cina. LiPhone sarebbe la prima vittima, ma non l’unica.

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Alla politica, Apple preferisce le ragioni del business. Applicare ulteriori dazi alle importazioni dalla Cina negli Stati Uniti, come vorrebbe fare Donald Trump, significherebbe compromettere la supply chain di prodotti come l’iPhone, l’iPad, i Mac e Macbook. Sebbene il bersaglio principale della Casa  Bianca sia stato finora Huawei, un’imposta al 25% sui beni cinesi avrebbe un dirompente effetto sui modelli economici di molte aziende (sia del settore tecnologico sia di tutti altri) in un Paese come gli Stati Uniti, dove le importazioni del made in China valgono 300 miliardi di dollari.

 

Non si tratta ovviamente solo di beni marchiati da aziende cinesi, ma anche di componenti e di oggetti finiti, fabbricati o assemblati nel Paese del Dragone o a Taiwan da società che operano come produttori per conto terzi. Come Foxconn, Pegatron, Wistron, Quanta Computer, Compal Electronics e altri fornitori di Apple. Dunque non stupisce che la Mela stia valutando, secondo indiscrezioni, l’ipotesi di traslocare lontano dalla Cina una parte dell’attuale produzione di hardware. Ma forse l’ipotesi si può scongiurare. Da Cupertino, riportano le fonti statunitensi, è partita una lettera indirizzata a Robert Lighthizer, il rappresentante al commercio del governo Usa: “Spingiamo affinché questi dazi non siano adottati”, ha scritto Apple, spiegando che ne risentirebbe la catena di fornitura di tutti i suoi principali prodotti, dagli smartphone ai computer, dai tablet ai componenti usati dai centri di assistenza che riparano i dispositivi negli Stati Uniti. E ancora il kit della Apple Tv, lo smart speaker HomePod, gli auricolari AirPods e alcuni modelli di cuffie a marchio Beats, router wireless, custodie, monitor, tastiere. Se ancora non fosse stato chiaro, adesso lo è: gran parte di Apple è made in China.

 

 

Il danno maggiore riguarderebbe in ogni caso la catena di fornitura dell’iPhone, un prodotto cha da solo, nelle sue varie versioni, copre circa due terzi dei ricavi dell’azienda californiana, nonostante le attuali difficoltà. Argomentando contro l’ipotesi di un dazio al 25%, nella lettera Apple ha ricordato al rappresentante governativo di essere il maggiore contribuente dell’intero territorio a stelle e strisce, nonché una formidabile fonte di occupazione (con oltre due milioni di posti di lavoro creati direttamente o indirettamente). L’azienda ha anche detto di essere allineata all’obiettivo di generare nell’arco di cinque anni 350 miliardi di dollari di valore per l’economia statunitense. L’appello rivolto a Lighthizer è chiaro: danneggiare la Mela equivarrebbe a danneggiare l’intera società.

 

Meno edificante e più pragmatico è il commento di un analista, riportato dal Los Angeles Times: “Ciò che ha avvantaggiato Apple in passato potrebbe, in futuro, rivoltarsi contro l’azienda e danneggiare i suoi margini di profitto superiori al normale”, ha detto Neil Campling, responsabile tecnologia di Mirabaud Securities. “Benché Apple cerchi di dipingersi come società incentrata sui servizi, la banale realtà è che oltre il 60% dei suoi profitti derivano ancora dall’iPhone”.

 

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