07/10/2016 di Redazione

I servizi “basilari” di Facebook potrebbero sbarcare negli Usa

Secondo ricostruzioni del Washington Post, il social network starebbe trattando con rappresentanti governativi e operatori locali per portare Free Basics anche negli Stati Uniti. Ma il progetto di Zuckerberg rischia di andare a sbattere contro i paletti d

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Free Basics è una piattaforma di Facebook nata nel 2014 per offrire accesso gratuito a una serie limitata di servizi Web alle popolazioni delle aree più povere del mondo o con connessioni molto lente. Un progetto attivo ad oggi in 49 Paesi, aperto agli sviluppatori indipendenti, ma che si è attirato nel tempo diverse critiche. Opinioni non lusinghiere che adesso potrebbero anche aumentare. Secondo il Washington Post, infatti, Mark Zuckerberg sarebbe da mesi in contatto con rappresentanti governativi statunitensi e operatori telefonici per portare questo servizio “zero-rating” anche negli Usa. Le fonti contattate dal quotidiano parlano di uno Zuckerberg molto impegnato a definire le modalità di roll out del progetto, limitando però il più possibile il rischio di incappare nelle maglie del regolatorio.

Sì, perché Free Basics, come detto, può contare su una folta schiera di detrattori. Basti guardare l’India, dove la piattaforma è stata bloccata a febbraio perché in probabile violazione dei dettami della neutralità della Rete, secondo cui operatori e provider non possono dare priorità a certi servizi a discapito di altri. Un principio sacrosanto, che di recente ha segnato un punto a proprio favore in Unione Europea.

“Ad oggi non abbiamo nulla da annunciare, ma la mission di Facebook è ancora quella di connettere il mondo e siamo sempre in cerca di nuove modalità per farlo, anche negli Stati Uniti”, ha commentato un portavoce del social network. Sbarcare sul suolo natio con Free Basics sarebbe una vittoria di peso per Zuckerberg, perché consentirebbe all’azienda di portare la propria piattaforma nelle numerose comunità rurali statunitensi.

L’obiettivo di Facebook, almeno in questa fase, sarebbe quello di presentare nella miglior luce possibile Free Basics al governo a stelle e strisce, per evitare di dover poi fare marcia indietro quando sarebbe troppo tardi. Come? Cercando accordi con compagnie di telecomunicazioni piccole e a spettro locale: stringere partnership con colossi del calibro di At&T o T-Mobile potrebbe fare troppo rumore e attirare l’attenzione della Federal Communications Commission (Fcc).

 

 

Ma le associazioni nate per tutelare la neutralità della Rete sarebbero già sul piede di guerra e potrebbero far sentire il proprio peso nella continua battaglia sui servizi “zero-rating”. Una modalità definita “nociva, iniqua e non necessaria”, secondo le parole di Susan Crawford, professoressa di legge ad Harvard, la quale da tempo spinge per rafforzare le regole dell’industria della banda larga.

Non intervenire sullo “zero-rating” significherebbe “fare il gioco delle aziende che sono interessate a mantenere lo status quo”, ha spiegato Crawford al Washington Post. Ma ovviamente c’è anche chi pensa il contrario. Strumenti come Free Basics potrebbero davvero rappresentare un primo approccio al Web (e a servizi fondamentali, come per esempio quelli burocratici o sanitari online) per milioni di persone non raggiunti da connessioni potenti. Riducendo così il digital divide che persiste anche in Paesi avanzati come gli Stati Uniti.

È l’opinione di Nicol Turner-Lee, vicepresidente di Multicultural Media, Telecom and Internet Council. “Non sarebbe una cattiva idea, perché abbiamo a che fare con molti problemi di questo genere nelle comunità storicamente più svantaggiate”, le stesse difficoltà che incontrano Paesi in via di sviluppo. Per esempio, secondo dati del Pew Research Center negli Usa il 15 per cento degli adulti ancora oggi non ha altro mezzo per navigare se non il cellulare. E il 48 per cento di chi utilizza lo smartphone per accedere al Web ha dovuto sospendere l’abbonamento con il proprio operatore per motivi economici.

 

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