27/11/2017 di Redazione

Il Ceo di Uber sapeva della violazione già da mesi

Dara Khosrowshahi, diventato amministratore delegato dell’azienda a fine agosto, è stato informato del breach due settimane dopo la nomina. L’unico soggetto a sapere dell’attacco era Softbank, che questa settimana potrebbe svelare la propria offerta per d

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È stata una settimana impegnativa per Uber. La startup d’oro della Silicon Valley ha svelato martedì scorso di essere stata vittima nel 2016 di un massiccio attacco hacker, che ha portato al furto delle credenziali di 57 milioni di utenti e autisti. Una violazione che è costata la testa a due manager di peso, tra cui il responsabile della sicurezza dei dati aziendali, e su cui il nuovo Ceo Dara Khosrowshahi si è speso pubblicamente: pur non avendo colpe dirette, il numero uno di Uber ha chiesto scusa a clienti e driver, spiegando che la società si era già mossa per indagare con dei partner sull’accaduto. Ma il Wall Street Journal ha riportato nelle ultime ore nuovi dettagli che gettano una nuova luce anche sull’operato di Khosrowshahi. Secondo quanto ricostruito dal quotidiano economico, che cita fonti anonime, il Ceo sarebbe stato informato del breach due settimane dopo la sua nomina, avvenuta a fine agosto.

Il manager avrebbe quindi conosciuto i dettagli due mesi prima rispetto all’opinione pubblica, ordinando immediatamente un’indagine forense a Mandiant, sussidiaria di FireEye. Ma c’è un soggetto che è stato informato prima di tutti: Softbank. Il colosso giapponese, che possiede quote rilevanti di diverse aziende tech statunitensi, è da tempo interessato a entrare nel capitale di Uber e avrebbe ricevuto alcuni particolari sulla violazione.

La stessa startup ha confermato parzialmente la ricostruzione del Wall Street Journal, sottolineando come la natura di potenziale investitore di Softbank la rendesse idonea a ricevere le informazioni in anticipo rispetto al mercato. Solo in un secondo momento, con le prime conclusioni dell’indagine, Uber aveva pianificato di rendere noti alcuni dettagli al pubblico. Cosa che si è poi infatti verificata la scorsa settimana.

L’azienda avrebbe potuto agire in altro modo? Certamente. Tenere nascoste violazioni di questo livello è una cosa grave e sicuramente aggraverà la situazione di Uber in tribunale: negli Stati Uniti sono già state depositate le prime class action e anche i Garanti della Privacy europei hanno fatto sapere che in questi giorni decideranno come agire per tutelare i cittadini del Vecchio Continente. Nel frattempo, si attende a ore la proposta di Softbank: il gruppo nipponico potrebbe rastrellare il 14 per cento dagli attuali investitori, oppure mettere direttamente sul piatto almeno un miliardo di dollari.

 

 

Secondo Reuters è probabile che Softbank, in partnership con Dragoneer Investment Group, decidano di investire 10 miliardi di dollari in Uber, sia rilevando direttamente le quote sia immettendo direttamente denaro nelle casse della società di San Francisco. Gli investitori, una volta ricevuta l’offerta, avranno venti giorni lavorativi per rispondere. Uber oggi è valutata quasi 70 miliardi di dollari, la cifra maggiore fra tutte le realtà sostenute dai fonti di venture capital.

 

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