27/09/2017 di Redazione

Il cervello artificiale di Intel ha 130mila neuroni

L’azienda ha presentato Loihi, un chip neuromorfico in grado di emulare il comportamento del nostro organo pensante. Le sue 130 milioni di sinapsi supportano diverse tipologie di reti neurali e la soluzione può imparare e fare inferenze in autonomia, senz

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Un chip capace di imitare il cervello umano. O almeno di provarci. Intel ha svelato Loihi, una piattaforma hardware con software integrato che rientra nella categoria dei processori neuromorfici: un campo già molto studiato in passato, ma che fino ad oggi non è riuscito a dimostrare gli esiti sperati. Il progetto di Intel è un chip che dovrebbe essere in grado di apprendere, allenare reti neurali e portare efficienza prestazionale ed energetica (fino a mille volte rispetto alle Cpu tradizionali) in autonomia, senza bisogno di collegarsi al cloud. Il design di Loihi è ispirato al funzionamento di base del cervello e alle modalità con cui i neuroni comunicano fra loro e apprendono. Prodotto a 14 nanometri, il chip è dotato di 130mila neuroni e di 130 milioni di sinapsi, ovviamente artificiali, con un’architettura mesh definita “many core” per supportare diverse topologie di reti neurali.

Ogni core contiene un motore di apprendimento e può essere programmato in modo indipendente dagli altri, per essere pienamente compatibile con diversi paradigmi di machine learning: supervisionato, non supervisionato, per rinforzo e così via. Lo schema su cui è basato Loihi consente sia di allenare le reti neurali, sia di fare inferenza: questo permette, per esempio, ai veicoli di adattarsi in tempo reale alle situazioni senza aspettare input dal cloud.

L’automotive è sicuramente uno dei primi ambiti di applicazione del nuovo processore (e Intel, non a caso, sta investendo tanto in questo mercato, anche a suon di acquisizioni), ma va citato anche il campo industriale. Una delle principali differenze fra i chip neuromorfici e gli attuali sistemi di intelligenza artificiale, basati sulle porte logiche di processori e schede grafiche, è la presenza dei cosiddetti spiking neurons.

Un’architettura che non elabora più le informazioni su base digitale, convertendo i dati in zero e uno, ma che si avvicina molto di più a un sistema analogico: i neuroni, infatti, sono in grado di pesare i segnali inviati. Inoltre, a differenza delle classiche Cpu, non esiste un clock che sincronizza il funzionamento complessivo del chip, perché i neuroni possono “accendersi” alla bisogna.

 

 

Nella prima metà del 2018 Intel inizierà a consegnare i primi campioni a università e istituti di ricerca, in modo che Loihi possa essere testato a dovere. Il colosso di Santa Clara non è l’unica azienda ad aver sviluppato una soluzione neuromorfica. Ibm, per esempio, ha in cantiere dal 2014 Truenorth, che condensa nelle dimensioni di un francobollo un milione di neuroni elettronici e 256 milioni di sinapsi artificiali, oltre a 5,4 miliardi di transistor.

Qualcomm, invece, ha presentato due anni fa la piattaforma Zeroth, dotata di un motore avanzato di computing cognitivo comportamentale. L’efficacia di queste architetture, però, è ancora tutta da dimostrare. “Al momento c’è molto fermento attorno all’elaborazione neuromorfica, ma non esiste ancora una dimostrazione persuasiva di un’applicazione ad alto volume di dati, in cui la soluzione neuromorfica sia in grado di surclassare le alternative classiche”, ha spiegato Steve Furber, ricercatore dell’Università di Manchester. Sarà Intel la prima a farcela?

 

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