29/06/2012 di Redazione

Il cloud in Italia? Un must solo per una Pmi su quattro

Il rapporto del Politecnico di Milano conferma le grandi potenzialità del computing a nuvola in Italia ma evidenzia anche come il fenomeno sia ancora snobbato dalle imprese con meno di 250 addetti e come peserà solo per il 2,5% della spesa totale It nel 2

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Dimensioni del mercato, benefici a livello di Sistema Paese, progetti innovativi, distribuzione degli investimenti delle aziende ed evoluzione dell’offerta a livello di filiera, impatti sulle infrastrutture It, best practice. Il tema del cloud pone diversi interrogativi e a parecchi di questi ha risposto l’edizione 2012 dell’Osservatorio Cloud & ICT as a Service promosso dalla School of Management del Politecnico di Milano, che ha messo sotto la lente di ingrandimento oltre 130 Cio di grandi imprese italiane e 660 Responsabili It di Pmi.



Lo studio, presentato ieri, ha subito inquadrato il fenomeno sotto l’aspetto quantitativo, raffreddando in tal senso i facili entusiasmi: su una spesa IT che nel 2011 si è fermata a 17,67 miliardi di euro (in contrazione del 4,1% rispetto al 2010, dati Assinform) e che nel 2012 è destinata a perdere ancora qualcosa, servizi e soluzioni nella nuvola peseranno nel 2012 per circa il 2,5% degli investimenti delle aziende.

In soldoni circa 440 milioni di euro, ripartita quasi equamente fra private cloud (che assorbirà il 54% della spesa, e cioè circa 240 milioni di euro) e public cloud (per il restante 46%, circa 200 milioni).

Se il cloud deve fare da locomotiva dell’Italia al digitale, in buon sostanza, mancano ancora attributi importanti affinchè possa soddisfare tale impegno, per quanto il tasso di crescita - attorno al 25% anno su anno - e i benefici conseguiti – misurabili nell’ordine del 15% in termini di riduzione dei costi di gestione dell’It - lasciano secondo i ricercatori del Politecnico ben sperare. Anche perché, se non soprattutto, la migrazione di sistemi e applicazioni nella cloud (si legge testualmente dallo studio) “può comportare un risparmio cumulato entro il 2015 di circa 450 milioni di euro, risparmio che potrebbe essere portato fino ad un miliardo se si adottassero le migliori pratiche”.

Alla domanda “chi utilizza le tecnologie cloud in Italia” il rapporto ha risposto confermando una tendenza già chiaramente emersa in passato, e cioè quella secondo cui sono prevalentemente le grandi aziende ad aver adottato una qualche forma di computing a nuvola. Due terzi di queste si sono già mosse concretamente in questa direzione (e per la precisione il 56% utilizza almeno un servizio Cloud e l’11% ha in corso limitate sperimentazioni), il 25% si dichiarano interessate e solo l’8% non lo utilizzano o non hanno alcun interesse a introdurlo.

Le percentuali cambiano sostanzialmente analizzando le aziende sotto i 250 addetti: solo il 22% dichiara di avere avviato progetti in tal senso, il 2% intende introdurli e ben il 76% non ne fa utilizzo (di questa fetta il 6% dichiara un interesse in proposito e il 10% di non conoscere tali tecnologie).

 

Dal punto di vista tecnologico, parametro importante per capire i reali orientamenti delle imprese del Belpaese, è il modello privato a prevalere in generale su quello pubblico - rispettivamente nel 48% dei casi contro il 41% per le grandi e nel 17% contro il 5% nelle medio piccole – mentre c’è un passo in avanti non trascurabile in termini di benefici ottenuti, che lo studio confermano essere evidenti “non solo dal punto di vista economico, ma anche in termini di efficienza ed efficacia operativa”.

La distinzione ulteriore fra le diverse tipologie di cloud premia invece, in campo public, i servizi  Infrastructure as a Service (IaaS), accreditati di investimenti per 120 milioni di euro, mentre i servizi applicativi Saas (Software as a Service) valgono 65 milioni, sebbene presentino i tassi di crescita più interessanti.

Una nicchia, secondo l’Osservatorio, sono invece ancora i servizi Platform as a Service (Paas), le cui spese associate sono pari a 10 milioni. Nel complesso, oltre il 95% dei progetti di cloud pubblico vede coinvolte imprese con oltre 250 addetti; le piccole e medie imprese generano invece un giro d’affari ancora poco significativo e quantificabile intorno agli 8 milioni di euro.

Analizzando, si legge ancora nel rapporto, lo stato di adozione dei due modelli  nelle grandi organizzazioni, il private cloud risulta avere percentuali di diffusione e sperimentazione lievemente superiori rispetto al public: 48% e 13% rispetto a 41% e 8%. Minimo lo scarto anche in fatto di percentuali di interesse all’introduzione dei due modelli, che sono pari al 29% per il private e al 22% per il public.

“Analizzando in modo approfondito le iniziative Cloud condotte dalle aziende italiane - parole di Stefano Mainetti, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Cloud & ICT as a Service - ci si accorge che il primo passo eseguito è generalmente nella realizzazione di un cloud privato. Ciò comporta una decisa accelerazione del percorso di virtualizzazione eseguito negli ultimi anni, per giungere ad una razionalizzazione e automazione dei data center. Questo percorso è solitamente motivato dall’obiettivo di ottenimento di significativi risparmi, ma può essere considerato pressoché confinato ad un’evoluzione tecnologica, senza comportare quindi significativi cambiamenti nella modalità di realizzare e governare i sistemi informativi”.



Entrando quindi nel merito dei benefici derivanti dall’adozione del cloud, le risposte dei Cio e dei responsabili It oggetto di indagine premiano  innanzitutto la scalabilità del servizio (voce citata nel 57% dei casi), e cioè la possibilità di allocare risorse potenzialmente infinite e di sfruttare i benefici economici del fattore scala senza una pesante esposizione economica legata all’acquisto e alla manutenzione delle infrastrutture IT.

Nell’ordine seguono quindi la riduzione di complessità gestionale dei Data Center e dei sistemi applicativi (55%), la riduzione degli investimenti richiesti a parità di soluzioni implementate (53%), la maggiore flessibilità e tempestività nel far fronte alle richieste delle Line of Business (41%), la continuità di servizio, sicurezza e affidabilità dei sistemi (37%), la misurabilità e controllabilità dei costi dei servizi on demand pagati secondo la logica del pay-per-use (37%), la possibilità di avere funzionalità costantemente aggiornate (35%).

Per contro non mancano le barriere all’adozione, che risultano essere legate soprattutto alla difficoltà di integrazione con l’infrastruttura già presente in azienda (problema che interessa il 40% degli It manager) e l’immaturità dell’offerta e dei servizi (35%), ma non meno trascurabili sono i problemi legati alla compliance normativa (31%), alla difficoltà di quantificare costi e benefici derivanti dal ricorso alla modalità di erogazione as a Service (31%) e alla criticità nell’implementare efficaci processi di controllo e misurazione per presidiare i livelli di servizio interni e del fornitore (25%).

Un messaggio che gli autori della ricerca evidenziano inoltre con enfasi riguarda i timori relativi ad aspetti disicurezza e privacy evidenziati dalle aziende che utilizzano servizi di tipo public. Timori che risultano invece essere falsi miti perché, secondo i CIO, con modelli di public cloud si registrano minori casi di perdita di dati rispetto alla precedente soluzione presente in azienda e, in generale, vi è una maggiore continuità di erogazione del servizio.



Lo studio ha infine i diversi approcci seguiti nell’adozione del cloud da parte delle imprese e il dato più importante in quest’ottica è quello che contraddistingue il 76% delle aziende analizzate, in cui si riscontra “un atteggiamento tattico e reattivo che comporta un cambiamento nelle direzioni Ict limitato al più alla creazione di nuove competenze interne”.

Quale la strada maestra da seguire per le aziende? Quella privata o quella pubblica? I ricercatori del Politecnico su questo punto rimangono cauti, perché parliamo ancora di un mercato che registra un’offerta in assestamento. Non ci sono però dubbi sul fatto che i progetti di cloud pubblico implementati fino a oggi abbiano portato a riduzioni del Total Cost of Ownership stimabili tra il 10 e il 20%, in funzione dell’ambito, della situazione di partenza e dell’efficacia dell’approccio di adozione.

E analoghe stime di beneficio, dicono i ricercatori, sebbene subordinate a investimenti iniziali rilevanti e progetti di più lunga durata, possono essere fatte per il private cloud. In ballo ci sono decine di milioni di euro di risparmio da tradurre in risorse da investire a supporto di processi e nuove iniziative di business. Ed è questa, forse, una ragione più che sufficiente a dover invogliare le Pmi italiane a credere di più questo fenomeno.


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