30/10/2011 di Redazione

Il digitale italiano va rilanciato, in dodici mosse

Secondo il rapporto del Digital Advisory Group elaborato da McKinsey, è di 320mila posti di lavoro il saldo positivo dello sviluppo di Internet in Italia. Ma dopo la buona partenza degli anni Novanta, la situazione sembra in stallo. Eppure emerge chiarame

immagine.jpg

Eravamo partiti bene, ma adesso siamo in panne. La prima Web mail è nata in Italia, abbiamo sviluppato motori di ricerca, creato uno degli Internet service provider ad accesso gratuito a più rapida crescita al mondo, fatto partire progetti ambiziosi con la fibra ottica.

Poi tutto ha rallentato e adesso dobbiamo rincorrere. Ma bisogna fare in fretta, sperando che qualcuno dia risposta alle 12 proposte che arrivano da “Sviluppare l’economia digitale in Italia un percorso per la crescita e l’occupazione”, il rapporto presentato nei giorni scorsi dal Digital Advisory Group, un’associazione di 30 grandi aziende che raccoglie nomi illustri dell’industria digitale italiana come Rcs, Sole24ore, Telecom e Banzai e multinazionali come Microsoft, Google, Cisco e Yahoo.



Realizzato da McKinsey, il rapporto approfondisce i dati resi noti poco tempo fa e nella fattispecie evidenziano un’incidenza di Internet in Italia rispetto al Pil pari al 2% (meno della metà della percentuale della Svezia, che arriva al 5%). Negli ultimi quattro anni il contributo alla crescita del Pil è stato del 14%, solo nel 2010 il contributo diretto di Internet al prodotto interno lordo italiano è stato di 30 miliardi di euro (più ulteriori 20 miliardi legati all'indotto) e sono stati creati in 15 anni 700mila nuovi posti di lavoro, con una media di 1,8 posti di lavoro creati per uno perso e un saldo positivo di 320mila nuovi occupati.

L’impatto sulla crescita delle piccole e medie imprese indica che per le aziende attive sul Web (che vendono online e investono oltre il 2% del proprio fatturato annuo in tecnologie legate alla Rete) il tasso di crescita medio annuo è calcolabile nel 10% rispetto alla stagnazione di quelle “a bassa intensità web”. Attive. E non finisce qui.

Le imprese che impiegano almeno il 5% dei propri dipendenti a mansioni correlate all’Information Technology hanno riportato un margine operativo lordo superiore del 50% a quelle con scarsi investimenti It e registrato un’espansione internazionale del 200% grazie a esportazioni basate sul canale online.

Cinque gli ostacoli individuati dal rapporto: insufficiente accesso alla banda larga (il digital divide potrebbe ampliarsi visto il fallimento del piano Romani e l’iniziativa del Fondo di Gamberale che punta sulle zone ad alta redditività), scarsa propensione all’ecommerce (la domanda cresce ma l’offerta latita e solo il 40% delle Pmi è presente online), limitata presenza dei servizi online della Pa, le carenze del quadro normativo (che riguardano anche le direttive europee e non solo il vecchio decreto Pisanu) e la mancazna di professionalità che riguardano il mondo digitale.



Dopo i numeri e l’analisi delle difficoltà il rapporto ha quindi messo nero su bianco 12 proposte per cercare di uscire dell’impasse. Anche con un filo di ingenuità alla luce degli ultimi avvenimenti (gli 800 milioni per la banda larga non ci sono più e i problemi di bilancio sono enormi), il Dag chiede di investire sull’Internet veloce.

Per uscire dall’impasse che vede l’Italia piazzarsi al 40° posto su 72 nella classifica stilata dal Broadband Quality Score (l'indice che registra quanto un Paese è cablato), con un valore assoluto di poco superiore a un uso agevole delle applicazioni Internet attuali.

“Gli sforzi compiuti per colmare il digital divide stanno già producendo risultati apprezzabili e le aree non servite sono scese dal 13% del 2009 al 7% del 2011 – è la premessa -. Ciononostante, il programma stabilito, che prevedeva di coprire il 100% delle aree con connessioni tra i 2 e i 20 Mb/s entro il 2012, ha subito ritardi e il target e stato rinviato al 2013. E dunque necessario accelerare il completamento dell’iniziativa, sia erogando i fondi pubblici aggiuntivi necessari (per un importo stimato tra gli 800 e il miliardo di euro), sia offrendo incentivi agli operatori delle telecomunicazioni”.

Il documento prosegue chiedendo una regolamentazione favorevole all’innovazione digitale, l’armonizzazione della normativa a livello europeo, la creazione di un advisory board per le politiche digitali e l’incoraggiamento della propensione dei consumatori verso il Web.

Rapporto Digital Advisory Group - fonte McKinsey


“Numerosi progetti avviati in diversi paesi del mondo possono rappresentare una fonte d’ispirazione e un’utile guida: in Danimarca, la campagna radio-televisiva “Hit the Keys”, lanciata in partnership con la Tv nazionale danese, si e posta come obiettivo quello di motivare la fascia di popolazione poco avvezza all’uso di Internet e delle tecnologie informatiche ad apprendere qualche funzione di piu o ad aggiornarsi; nel Regno Unito, la campagna di comunicazione “It Safe” ha puntato a rafforzare il senso di sicurezza tra gli utenti e le Pmi”.

La promozione di modalità innovative di consegna degli acquisti online e road show a livello regionale per le piccole e medie imprese puntano a riprendere, soprattutto nel secondo caso, esperienze già portate avanti a livello internazionale. Il programma svedese Svea realizzato nel periodo 2000-2004, sotto un comune ombrello di portata nazionale, ha organizzato oltre 700 iniziative regionali e locali rivolte alle Pmi, migliorandone il livello di competenza tecnologica e incentivando l’adozione di forme di e-business.

Il rapporto Dag dedica quindi ampio spazio all’e-commerce, chiedendo che vengano sostenute, anche in questo ambito, le Pmi. “Alcuni aspetti normativi rappresentano degli oneri particolarmente gravosi per le aziende attive su Internet e potrebbero essere alleggeriti. E il caso dell’obbligo di restituzione a titolo gratuito degli elettrodomestici usati (il Decreto Raee), dell’obbligo di richiesta del codice fiscale per acquisti di importo superiore ai 3.600 euro introdotto dal cosiddetto “spesometro” nel 2011, o del regime Iva differenziato per i prodotti digitali (sulle edizioni dei libri online si applica, per esempio, il 20% di IVA rispetto al 4% delle corrispondenti edizioni cartacee in libreria).

C’è spazio inoltre anche per l’egovernment, che deve essere incrementato (ma quando è stato lanciato era finanziato solo per il 20% e pare difficile che sia arrivato l’altro 80%), con la promozione di servizi chiamati a fare passi avanti anche dal punto di vista qualitativo. “In Gran Bretagna, per esempio  dopo aver riscontrato criticità nell’esperienza d’uso a causa della frammentazione dei servizi, il Governo ha lanciato un progetto per aggregare il 95% dei contenuti per i cittadini in un’unica piattaforma.

Rapporto Digital Advisory Group - fonte McKinsey


Esemplare anche il caso della Finlandia, dove i cittadini possono servirsi di un unico portale per scaricare e poi inoltrare alla Pubblica Amministrazione oltre 100 moduli relativi a servizi di pubblica utilità, dal pagamento delle imposte o delle contravvenzioni, fino alla contribuzione previdenziale”.

Altro imperativo è lo sviluppo di una formazione digitale di qualità che passi attraverso la costituzione di una Digital experience factory, “una fabbrica a tutti gli effetti, costituita secondo logiche di eccellenza e creata per accrescere la conoscenza del potenziale digitale e le e-skills di imprenditori e addetti, soprattutto delle piccole e medie imprese.

Il formato e già stato applicato con successo al campo della lean manufacturing in diverse “fabbriche modello” sorte in vari paesi europei: dalla CiP di Darmstadt in Germania, all’Inexo di Lione in Francia, fino all’italiana “Lean experience factory” inaugurata a Pordenone nel giugno 2011.

Spazio, infine, per le start up digitali, per le quali il Dag si chiede un sostegno ai fondi di venture capital attraverso agevolazioni fiscali per gli investitori, la promozione di investimenti pubblici in fondi venture capital italiani per favorire il co-funding pubblico privato, la semplificazione della burocrazia per le start-up e lo sviluppo di un mercato favorevole all’evoluzione di nuove aziende oltre la fase iniziale.


ARTICOLI CORRELATI