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Intelligenza artificiale, la contesa tra Usa, Europa e Cina

Tre attori si contendono la scena dell’AI, fra interessi economici, paure di impatto sull’occupazione e minacce alla privacy.

Pubblicato il 12 febbraio 2019 da Valentina Bernocco

Più risorse dedicate alla ricerca, alla promozione e allo sviluppo dell’intelligenza artificiale statunitense: le pretende Donald Trump, come esplicitato in un ordine esecutivo emesso questa settimana dall’ufficio del presidente. La “American AI Initiative” è solo l’ultima delle azioni di una Casa Bianca attentissima alle relazioni fra tecnologia, economia e società (si pensi anche alla cybersicurezza e alla battaglia ai vendor cinesi, certo da contestualizzare all’interno di logiche commerciali e non solo di protezione dei dati e di difesa). Nell’ordine esecutivo non si menzionano cifre, ma la Casa Bianca ha chiesto maggiore trasparenza sugli investimenti compiuti in un campo che è “critico per creare industrie del futuro, come auto autonome, robot industriali, algoritmi per la diagnosi delle malattie e altro ancora”.

 

"Proseguire nella leadership dell'intelligenza artificiale è di fondamentale importanza la sicurezza economica e nazionale degli Stati Uniti", ha dichiarato Trump. Certamente vero, ma per un’America che fronteggia preoccupanti minacce economiche e di cybersicurezza internazionali, sul mercato interno l’intelligenza artificiale è essa stessa una potenziale minaccia. Uno studio di Pwc l’anno scorso ha evidenziato che il 30% degli attuali ruoli lavorativi rischiano di scomparire entro il 2030, resi inutili dall’automazione; e per i lavori non intellettuali la percentuale sale al 44%. Allo stesso tempo vanno sottolineate le opportunità di crescita economica generate dalle nuove tecnologie, AI inclusa: a detta del report, fino a 15.000 miliardi di dollari potranno aggiungersi al Pil statunitense entro il 2030. Per questo, soprattutto, nella primavera del 2018 Trump si è impegnato a non metter i bastoni tra le ruote ai progetti di Amazon, Microsoft, Ford, Boeing e una trentina di altri colossi tecnologici.

 

Nella American AI Initiative firmata nei giorni scorsi si cerca di salvare capre e cavolo,

interessi economici e livelli di occupazione, evoluzione tecnologica e diritti civili. I cinque punti previsti dal documento sono, infatti, ricerca e sviluppo (con l’esigenza di dare priorità agli investimenti in AI), infrastrutture, governance (si dovranno definire linee guida di sicurezza, privacy ed etica), formazione (per preservare il valore dell’attuale forza lavoro in futuro), collaborazione internazionale con altri governi.


L’Europa non sta a guardare

Dall’altra parte dell’oceano c’è un bel po’ di terreno da recuperare. Potranno sicuramente giovare gli investimenti pianificati per accelerare lo sviluppo dell’AI europea: 20 miliardi di euro, frutto di fondi pubblici e privati, nel biennio 2019-2020, poi altrettanti ogni dodici mesi a partire dal 2021. Questo prevede il piano d’azione Ue coordinato e sottoscritto dai 28 Paesi membri.


Tre obiettivi orienteranno la destinazione dei fondi: finanziare un maggior numero di progetti, ampliare l’accessibilità ai dati e tutelare la dimensione etica dell’Ai, dunque della fiducia dei cittadini nei confronti di tecnologie quali robot “pensanti”, chatbot, analisi del linguaggio e dei video, biometria, software per la guida autonoma e per l’analisi dei dati in ambito medico, scientifico e molto altro ancora.

 

 

 

La minaccia cinese

Ma il vero terzo incomodo nei sogni di idillio tra Usa e intelligenza artificiale, molto più del Vecchio Continente, è la Cina. Esplicitate nel 2017, le ambizioni del governo sono quelle di portare il Paese a essere il gigante indiscusso dell’AI anche nel lungo termine, partendo da un mercato che oggi vale 150 miliardi di dollari solo su base nazionale (cioè considerando solo le tecnologie e i servizi venduti in Cina). L’obiettivo ultimo è quello di diventare leader mondiali entro il 2030, e ci si arriverà per gradi ma non troppo.

 

Già l’anno prossimo si dovrà ottenere il pareggio del giro d’affari con quello dell’intelligenza artificiale statunitense, puntando su tecnologie di Big Data intelligence, automazione, swarm intelligence (sistemi di intelligenza “collettiva”) e sullo sviluppo teorico; nel 2025 il focus si sposterà su applicazioni che avranno forti impatti su settori della società, sulla medicina, sull’industria, sull’agricoltura, sull’edilizia, sulla difesa nazionale. Pensando all’intelligenza artificiale made in China, oggi il pensiero va soprattutto alla videosorveglianza per scopi di sicurezza, sì, ma anche di controllo sociale: telecamere collegate a sistemi di riconoscimento biometrico e analisi dell’immagine sono spuntate ovunque, agli incroci pedonali e addirittura nelle scuole. L’anno scorso ha avuto risonanza mediatica il caso di un liceo di Hangzhou in cui alcune telecamere piazzate in aula permettono di monitorare i livelli di attenzione degli studenti in modi alquanto discutibili: osservando loro espressioni facciali e le loro emozioni, possono determinare quanto siano attenti, annoiati o distratti per assegnare dei punteggi.

 

Tag: mercati, europa, economia, Usa, Cina, intelligenza artificiale, donald trump

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