10/10/2012 di Redazione

Italia digitale: cosa manca? Discontinuità, politica

La digital economy come opportunità di sviluppo: ne hanno parlato gli esperti chiamati sul palco dello Iab Forum 2012, commentando pregi e difetti del decreto che dovrebbe dare il via alla rivoluzione del Paese e della macchina statale fra start up e docu

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Alla prima delle due giornate dello Iab Forum 2012, in programma a Milano Fiera City, c’era tanta gente – segno che il settore legato ai servizi e alle professioni del Web è sempre in fermento, al di là dei numeri (limitati) che ne contraddistinguono il suo ruolo nell’economia italiana – e si è discusso molto, forse troppo, di Agenda Digitale.



L’occasione era propizia, questo è fuor di dubbio, ma probabilmente era più utile entrare maggiormente nel merito di come sta evolvendo l’advertising digitale, di come e chi (soprattutto) ha contribuito a farne un mercato in crescita prevista del 12% a fine anno (per un giro d’affari di 1,2 miliardi di euro).

Da Simona Zanette, presidente di Iab Italia, come abbiamo documentato in un altro articolo su questo sito, è arrivato un assunto - “i quattro trend forti di questi anni sono il mobile, le start up, il social e la convergenza fra Tv e Internet - che meritava un approfondimento corredato da numeri, esempi, tendenze e testimonianze provenienti dal basso. Ben vengano quelle degli analisti del Boston Consulting Group o della Treccani (a firma di chi digital native certo non è come Francesco Tatò, ma anche quella di una Pmi o di una nuova realtà imprenditoriale votata al digitale sarebbe stata importante).

Si diceva dell’Agenda Digitale. Per commentarla hanno preso parola soggetti che sull’argomento si sono espressi a più riprese in questi ultimi mesi come Stefano Parisi, Presidente di Confindustria Digitale. Dopo aver assicurato all’indomani del parto del decreto Crescita 2.0 come l’industria italiana dell’Ict “sosterrà la realizzazione del piano con investimenti in infrastrutture e nuove tecnologie” il manager è tornato a puntare l’indice contro chi doveva fare e non ha fatto in termini di misure finalizzate a promuovere il digitale in ogni sua forma. Dall’e-commerce ai film distribuiti via Internet.

Il digitale va coltivato - “tutti gli italiani – ha detto Parisi - devono essere confidenti con l’utilizzo degli strumenti digitali” – ma servono trasparenza, regole, modelli, best practice. La questione della privacy non può essere perennemente assunta ad ostacolo insuperabile per l’introduzione di nuove tecnologie e la Pa deve fare un salto in avanti sostanziale. Questo il Parisi pensiero. Condivisibile? Certo. Il punto è però sempre lo stesso: come trasformare la teoria in pratica.

Quello del digitale è uno dei pochi settori, ha chiuso il suo intervento il numero uno di Confindustria Digitale, che cresce e continuerà a crescere nei prossimi anni. Le aziende dell’Ict e delle telco devono parlare fra di loro e con le realtà che vivono nel Web e di servizi digitali. Sulle buone intenzioni siamo tutti d’accordo. Ma nella pratica quante sono i progetti nati sotto questa bandiera? E quanto contenuto nell’Agenda va in questa direzione?

A quest’ultima domanda ha risposto Oscar Giannino, giornalista ed economista nonché uno dei promotori dell’iniziativa http://www.fermareildeclino.it/. “I provvedimenti sono buoni – questo l’interrogativo posto alla platea dello Iab - ma qual è il meccanismo attuativo per evitare che a differenza del passato rimangano solo sulla carta?” Il meccanismo, ha precisato Giannino, non c’è.

Manca, per esempio, una data di switch off precisa per ciò che concerne l’adozione senza più ritorno della carta d’identità elettronica, o del fascicolo sanitario digitale. E come la mettiamo con la questione della gestione dei centri di costo (responsabilità del procurement) degli oltre 9mila enti della PA? La resistenza al cambiamento, ammonisce Giannino, è latente ed è colpa anche delle aziende private che traggono vantaggi dallo status quo dei bandi e della gare così come sono gestiti oggi.



Serve introdurre meccanismi automatici per non vanificare uno sforzo apprezzabile e renderlo una mera espressione di buona volontà. Cosa fare, dunque? Per esempio sfruttare gli strumenti digitali per l’orientamento e la valutazione in seno a settori che pagano arretratezze dal punto di vista tecnologico come la sanità.

Senza una piattaforma digitale di gestione e controllo comune e trasversale a tutto il Paese si rischia di rimanere a lungo nello stallo. E serve trasparenza: l’ente pubblico deve essere misurabile e misurato per i risultati che produce e gli obiettivi che si prefigge. E che deve raggiungere.

La provocazione finale di Giannino è duplice. Siamo il Paese (questa la prima) dove gli smartphone hanno superato per vendite i cellulari tradizionali ma non c’è una piattaforma digitale condivisa su cui edificare un’offerta di servizi ai cittadini basata su standard di pagamento di prossimità e in mobilità. E allora. Serve una discontinuità politica molto forte. Servono competenze dedicate e progetti mirati al raggiungimento dei risultati. Codificare in legge lo statuto di una start up (questa la seconda), per dare slancio alla rivoluzione digitale, è inutile. Come usare il telefonino per chattare su Facebook.


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