24/11/2015 di Redazione

La Cina rafforza il Great Firewall, sospeso chi usa WhatsApp

Nella regione dello Xinjiang un numero imprecisato di clienti di China Unicom, China Mobile e China Telecom si è visto sospendere il servizio telefonico. Un atto di probabile censura, figlio del governo, che ha colpito chi utilizza applicazioni straniere

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Se nella Grande Muraglia della censura cinese si aprono dei varchi, la soluzione più efficace è immobilizzare chi ha tentato di sfruttarli: proprio questo sta accadendo in Cina, in Xinjiang, una delle regioni più vaste del Paese del Dragone. O meglio del Paese del “Great Firewall”, la politica di censura che costringe la navigazione Web entro i confini approvati da Lu Wei, già vicesindaco di Pechino e dal 2013 a capo del dipartimento per la Sicurezza di Internet cinese.

In Xinjiang vivono circa 20 milioni di persone e qui un numero imprecisato di clienti dei tre principali carrier (China Unicom, China Mobile e China Telecom) si è visto bloccare ogni servizio di telefonia e Internet per aver violato alcune regole. Ovvero per aver utilizzato una rete Vpn oppure scaricato sul proprio smartphone applicazioni “straniere”, come Whatsapp e Instagram.

Diverse lamentele sono giunte agli operatori telco e in stazioni di polizia locale da persone che avevano ricevuto il seguente messaggio: “A causa di una notifica di polizia, disabiliteremo il suo numero di cellulare entro le prossime due ore, secondo quanto prevede la legge”. L’avviso proseguiva poi consigliando di rivolgersi alla stazione di polizia più vicina, che avrebbe fornito ulteriori dettagli.

Così hanno fatto in molti, come riporta il New York Times, citando alcune singole testimonianze che rendono l’idea di uno scenario di accentuata ma non dichiarata censura. Alle domande di chi non poteva più utilizzare il proprio telefono, i poliziotti hanno risposto spiegando che l’interruzione di servizio sarebbe durata pochi giorni (per alcuni tre giorni, per altri un numero imprecisato) e che non sarebbe più stato possibile utilizzare delle Vpn. Un metodo sfruttato da molti cinesi per navigare evitando i filtri del Great Firewall.

Altri utenti si sono visti ritirare la carta di identità e il telefono per alcuni minuti, mentre di altri ancora i poliziotti hanno controllato post e fotografie pubblicate sui social media. Molti commenti e lamentele pubblicate su Weibo, la piattaforma di microblogging più popolare in Cina, sono stati rimossi.

 

 

Riferimenti tecnologici a parte, sembrano immagini di altri tempi. Ma lo Xinjiang – una vasta regione i cui confini toccano anche Tibet, Afghanistan e il Kashmir indiano –  non è nuovo a questo genere di controlli: nel 2009, per circa sei mesi la regione era rimasta priva del servizio Internet in seguito a tensioni fra la popolazione di etnia Han e la minoranza (40%) degli Uighur. Forse recenti episodi di cronaca (come l’esecuzione di un ostaggio cinese da parte dei terroristi dell’Isis e come l’uccisione di 28 persone, presunti autori dell’attentato alla miniera di carbone avvenuto in settembre) possono aver causato la nuova ondata di severità.

 

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