19/12/2019 di Redazione

La Corte di Giustizia Ue potrebbe pendere a favore di Facebook

La richiesta di bloccare il trasferimento dei dati verso gli Usa, avanzata dall’attivista Max Schrems al garante per la privacy irlandese, dovrà essere valutata dalla Corte. Intanto l’avvocato generale ha dato un’indicazione inaspettata.

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Questa volta Facebook potrebbe ottenere il favore dell’Europa, o meglio della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, su una questione riguardante il trattamento dei dati degli utenti del social network. Questione annosa, ben precedente al pasticcio di Cambridge Analytica: era il 2013 quando lo studente austriaco Max Schrems denunciava l’azienda californiana per aver indebitamente trasferito i suoi dati verso gli Stati Uniti. Dopo essersi inizialmente rivolto al garante per la privacy irlandese, senza successo, il giovane aveva bussato alla porta della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, ottenendo poi nel 2016 una sentenza che invitava l’autorità irlandese a valutare, secondo i diritti fondamentali degli europei, se far sospendere a Facebook il flusso di dati degli utenti europei nei server degli Stati Uniti perché nel Paese non è garantito un adeguato livello di protezione dei dati personali”.

 

Nel frattempo Schrems è diventato un 32enne avvocato e attivista pro-privacy, mentre il tema del trasferimento di dati personali da una sponda all’altra dell’oceano ha trovato una più precisa cornice normativa con il Privacy Shield, che nel 2016 ha sostituito il Safe Harbor. Facebook non ha interrotto le proprie attività di trasferimento dei dati dal Vecchio Continente verso server collocati negli States, ma ha inquadrato queste pratiche all’interno delle nuove regole europee Standard Contractual Clauses. Una di esse prevede, in caso di rischi di ravvisati, che il garante della privacy irlandese possa vietare il trasferimento di dati verso gli Usa.

 

 

Max Schrems

 

Schrems dunque era tornato all’attacco rivolgendosi nuovamente all’autorità irlandese, argomentando sull’assenza di un vero diritto alla privacy nelle leggi degli Stati Uniti.  In sintesi, il problema è che le leggi sulla privacy europee (il Gdpr, innanzitutto) cozzano con le leggi statunitensi (il Foreign Intelligence Surveillance Act, per esempio) che favoriscono la sorveglianza governativa di massa per vere o presunte ragioni di sicurezza. Come scrive Schrems, estremizzando un po’, “In parole povere, la legge europea richiede privacy, mentre quella statunitense richiede la sorveglianza di massa”.

 

La vicenda è ancora sospesa. L’authority irlandese ha chiesto un parere alla Corte di Giustizia europea, che presumibilmente si pronuncerà entro qualche mese. Ma nel frattempo Henrik Saugmandsgaard Øe, avvocato generale alla Corte di Giustizia, ha espresso un’opinione non vincolante che pende in favore di Facebook. A detta dell’avvocato, sono da considerarsi valide le Standard Contractual Clauses per il trasferimento di dati a soggetti operanti in nazioni diverse da quelle in cui risiede l’utente. In otto casi su dieci le sentenze della Corte di Giustizia rispecchiano il parere non vincolante dell’avvocato generale.

 

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