11/06/2016 di Redazione

Lavoratori italiani a caccia di flessibilità e tecnologie

Una ricerca di Idc e Cornerstone OnDemand rivela che i dipendenti del nostro Paese sono quelli meno attaccati alla propria azienda, anche a causa di una gestione delle risorse che fa fatica a sposare il paradigma dello smart working.

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Quattro dipendenti italiani su dieci non sono orgogliosi del proprio posto di lavoro e, di conseguenza, non lo raccomanderebbero a nessuno. Un dato superiore di circa il 12 per cento rispetto alla media europea, dove ben sette lavoratori su dieci sono contenti delle proprie mansioni e con un netto gradiente sud-nord: i Paesi scandinavi sono quelli più “felici” da questo punto di vista. Ma le cifre più allarmanti sono forse altre e riguardano addirittura manager e responsabili delle risorse umane, teoricamente i tradizionali portatori e sostenitori dei valori di un’azienda. Solo il 59 per cento di loro, infatti, è disposto a raccomandare la società con cui collabora. L’Italia, in sintesi, sta scontando una seria crisi di quella che viene definita “employee engagement”, vale a dire la capacità delle aziende di coinvolgere la propria forza lavoro e di farla sentire, in qualche modo, a casa.

I dati provengono dalla ricerca “Future People: Le postazioni di lavoro nell’era della trasformazione digitale”, promossa da Cornerstone OnDemand e condotta da Idc su un campione di 1.352 professionisti delle risorse umane (Hr) e business manager in 16 Paesi europei. Il perno dello studio è il rapporto tra il livello manageriale delle aziende e le nuove prospettive aperte dallo smart working e dalla flessibilità: trend che hanno orami iniziato a scuotere il mercato del lavoro in tutto il mondo, alimentati dalle nuove tecnologie.

Questi cambiamenti pongono enormi sfide per la gestione delle risorse umane, proprio perché i dipendenti richiedono spazi e tempi flessibili oltre a tecnologie di collaborazione all’altezza delle soluzioni consumer (con caratteristiche quali facilità di utilizzo e sicurezza), mentre i processi delle Hr diventano sempre più digitali e self-service.

Ed è proprio la possibilità di gestirsi il più possibile, decidendo come e (soprattutto) dove lavorare, che sembra allettare oltremodo il personale. La flessibilità ha quindi un impatto diretto sul coinvolgimento dei dipendenti e le aziende che non riescono a garantirla scontano basse percentuali di engagement. Per esempio, l’indagine di Idc ha scoperto che la libertà di lavorare da remoto ha un impatto importante sul senso di appartenenza dei lavoratori e sulla loro disponibilità a raccomandare l’impresa a terzi.

 

 

Questo significa che i sistemi e le tecnologie in grado di abilitare lo smart working dovrebbero essere una priorità dei Ceo (e discusse quindi a livello di top management) e non dovrebbero essere trattati come un comune progetto It. Soprattutto perché la forza lavoro, non solo i Millennials, sta diventando sempre più pratica nell’utilizzo dei dispositivi mobili. Un’altra ricerca di Idc, comunque, conferma che il 50 per cento delle imprese europee ha posto la trasformazione digitale come priorità chiave per il 2016.

Ad oggi, alcune tra le pratiche smart più diffuse sono il lavoro da casa (permesso dal 71% delle organizzazioni) e l’accesso ai sistemi aziendali dall’esterno (76%). Senza dimenticare però la disponibilità di training interni su argomenti It (83%) e orari flessibili (78%). D’altro canto, devono ancora farsi molta strada il Byod (52%, probabilmente per questioni di sicurezza), attività di svago in ufficio (55%, in questo caso pesa l’approccio culturale) e disponibilità di app aziendali per dispositivi mobili (59%).

I risultati italiani mostrano che, mentre le imprese hanno fatto bene nell’adozione delle nuove tecnologie, come per esempio i dispositivi touch (siamo secondi nel panel di Paesi europei), ancora molta strada deve essere fatta per progredire oltre le barriere organizzative e culturali che contrastano la diffusione su larga scala del lavoro flessibile. Questo riguarda in modo particolare la formazione It (ultimo posto), gli open space (settimi) e la mobilità interna (ultimi).

La possibilità di eseguire task da casa rimane lo scenario in cui c’è ancora un dibattito più acceso. Oltre un terzo degli intervistati è convinto che tutte le funzioni potrebbero lavorare al difuori dell’ufficio, con ruoli come l’upper management e la ricerca e sviluppo tra i più citati in termini di libertà (rispettivamente 91 e 89 per cento). I responsabili It e le risorse umane (20%), insieme alle funzioni di produzione (29%) e alle operations (22%) sono invece i ruoli che dovrebbero passare più tempo possibile in azienda.

 

Fonte: Idc, Cornerstone OnDemand

 

“Questi risultati mostrano che il lavoro da casa è in aumento, ma rimane un privilegio per una minoranza”, spiega Idc. “In aggiunta, la maggior parte dei dipendenti presenta un ‘approccio misto’ al posto di lavoro, dove la maggior parte dei giorni è spesa in azienda e meno della metà viene passata a casa. Idc crede che per molti dipendenti l’ufficio è una fonte importante per l’identità professionale, l’interazione sociale e lo scambio di conoscenza. Le compagnie che permettono la flessibilità possono ottenere un maggior coinvolgimento e un bilanciamento migliore dei parametri lavoro/vita privata delle risorse umane”.

 

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