22/03/2018 di Redazione

Mark Zuckerberg fa mea culpa, Facebook ha tradito la fiducia

L'amministratore delegato ha ammesso la responsabilità (pur senza dolo) nello scandalo dei dati conservati illegalmente per tre anni da Cambridge Analytica. In Italia, intanto, l'Agcom vuol far luce sull'uso delle informazioni di Facebook a fini di propag

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Dopo giorni di assordante silenzio, Mark Zuckerberg ha parlato. Sullo scandalo dei dati di 50 milioni di utenti Facebook conservati e rivenduti dalla società di marketing digitale britannica Cambridge Analytica, l'amministratore delegato del social netwotk ha detto che “si è trattato di una pesante violazione di fiducia e sono davvero dispiaciuto dell'accaduto”. Intervistato da Cnn, Zuckerberg non si è limitato a esprimere dispiacere ma ha anche ammesso che “abbiamo una basilare responsabilità di proteggere i dati delle persone e se non siamo in grado di farlo, allora non meritiamo di avere l'opportunità di essere al servizio della gente”. Parole quasi servili, in piccola parte forse utili per placare i toni del dibattito sulla privacy violata e frenare la discesa del titolo Facebook in Borsa (discesa di oltre 12 punti percentuali, da cui però il giovane Ceo si era furbamente tutelato vendendo per tempo il corrispettivo di 5 milioni di azioni personali).

È presto per dire se l'accaduto avrà impatti di lungo termine, una volta lasciate evaporare le radicali e impraticabili (almeno per le aziende) esortazioni a cancellarsi dal social network, giunte anche dal confondatore di Whatsapp, Brian Acton, e seguite dal dilagare dell'hashtag #deletefacebook. Per il momento, una parte dei media sta cercando di spiegare al grande pubblico che l'opera di raccolta dei dati fatta da Cambridge Analytica non è sostanzialmente diversa da quella di analoghe società di digital marketing: i “like”, i commenti, le condivisioni, i risultati di giochini in forma di test, virali su Facebook, sono oggetto d'interesse tipico per chi vende servizi di profilazione. Chi accetti di installare o usare un'app sottoscrive di fatto un contratto che prevede una serie di autorizzazioni (per esempio, ad accedere a indirizzi email, generalità e altro ancora).

Nel caso specifico, preoccupa il fatto che il “microtargeting comportamentale” realizzato su 50 milioni di profili sia stato particolarmente invasivo, poiché realizzato prima che Facebook, tre anni fa, rendesse più restrittive alcune sue regole. Cambridge Analytica ha così potuto osservare non solo i dati e le interazioni dei 270mila utilizzatori di un'applicazione (“thisisyourdigitallife”, che creava profili psicologici e comportamentali di una persona in base alle sue interazioni online) ma ha anche potuto accedere ai dati degli “amici” di chi usava l'app.

L'opera era quindi legittima, ma non lo è più stata dopo le limitazioni introdotte in un secondo momento da Facebook. Quest'ultima, però, ha aspettato fino a qualche giorno fa – e ci sono voluti gli articoli di denuncia del Guardian e del New York Times – per ritirare i permessi di raccolta dati a Cambridge Analytica. L'infrazione sarebbe stata scoperta già nel 2015, ma non tutti i dati (da quel momento diventati illegali) sarebbero stati distrutti. Da qui lo scandalo nello scandalo, e ne aggiungiamo un terzo: la microsegmentazione realizzata dalla società britannica sarebbe servita a chi gestiva la campagna presidenziale di Donald Trump per influenzare il risultato elettorale delle presidenziali statunitensi, forse addirittura in combinazione con le attività di propaganda del Russiagate.

 

 

In tutto ciò, davanti alle telecamere di Cnn Mark Zuckerberg ha, sì, fatto un mea culpa sulle negligenze della propria azienda, ma anche ha inserito Facebook nella schiera delle vittime, dicendosi certo del fatto che qualcuno stia cercando di usare il social network per influenzare lo scenario politico. Quella dell'azienda di Menlo Park sarebbe dunque una responsabilità colposa, senza dolo. Un po' a sorpresa, Zuckerberg ha anche aperto la porta a possibili regolamentazioni esterne di piattaforme Web come la propria: “Non sono cerco che non dovremmo essere regolamentati”, ha detto. “La domanda da porsi, credo, è quale sia la giusta regolamentazione, piuttosto se sia oppure no opportuna”. Una delle questioni su cui il Ceo auspica regole chiare è quella della trasparenza sulle inserzioni a pagamento, poiché “le persone dovrebbero sapere chi è che paga gli annunci sponsorizzati che si vedono su Facebook, e dovrebbero poter vedere su ogni pagina tutti gli annunci rivolti ai diversi pubblici”.

Zuckerberg si è anche dichiarato disposto a testimoniare davanti al Congresso. Intanto in Italia, come riporta Ansa, l'Agcom ha inviato a Facebook una richiesta di informazioni sull'impiego dei dati "per finalità di comunicazione politica da parte di soggetti terzi". Dall'azienda californiana è giunta pronta risposta, per bocca del deputy chief global privacy officer, Stephen Deadman: “Siamo fortemente impegnati nel proteggere le informazioni delle persone e accogliamo l'opportunità di rispondere alle domande poste dall'Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni”.

 

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