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Medie aziende europee affette dalla “sindrome del figlio di mezzo”

Un’indagine di Coleman Parkes Research, sponsorizzata da Ricoh Europe, svela che in venti Paesi dell’Ue il 70% delle imprese da 50-500 dipendenti si sente penalizzato dalla complessità delle normative (e conseguenti costi), dal mancato accesso ai finanziamenti e dalla difficoltà a investire in innovazione.

Pubblicato il 30 settembre 2016 da Redazione

Le aziende di dimensioni medie sono un importante motore dell’economia europea. Eppure sembrano soffrire di una sorta di “sindrome del figlio di mezzo”, cioè di una serie di circostanze che le svantaggiano sia rispetto alle grandi imprese sia alle più agili startup. A queste realtà spesso manca il supporto necessario per sostenere investimenti, strategie di crescita e innovazione. È quanto emerge da un’indagine commissionata da Ricoh Europe a Coleman Parkes Research, che ha interpellato 1.650 medie aziende (comprese fra i cinquanta e i cinquecento dipendenti e con un fatturato fra 2,5 e 100 milioni di sterline) di 20 Paesi europei. Un dato, quasi plebiscitario, colpisce: il 93% degli intervistati si sente penalizzato da barriere che impediscono all’impresa di raggiungere il suo pieno potenziale.

Quali barriere? Innanzitutto, i requisiti normativi troppo complessi e che comportano ingenti investimenti: li cita il 31% degli interpellati, ma la percentuale sale al 38% nel campione italiano. Seguono, fra i problemi, la difficoltà di attrarre nuovi talenti (citata dal 27% delle aziende e dal 24% di quelle nostrane) e la difficoltà nell’ottenere finanziamenti per nuove tecnologie (27% in Europa e 31% in Italia).

Eppure gli investimenti in tecnologie e innovazione sono cruciali per continuare a competere. Restringendo lo sguardo alle sole aziende tricolori, si osserva come il 42% consideri una priorità di business di medio termine (due anni) lo sviluppo di nuovi prodotti e servizi, mentre il 38% cita l’innovazione dei processi e l’uso della tecnologia come leve competitive e il 35% desidera poter investire nell’Ict per realizzare una vera trasformazione del business.

Se questi sono i desideri e le intenzioni, la realtà appare ben diversa. Sul totale degli intervistati dei venti Paesi, infatti, un buon 30% non ha nemmeno cominciato a sfruttare le tecnologie digitali con l’intento di far crescere l’azienda. E sale al 70% la percentuale di chi si sente vittima della “sindrome del figlio di mezzo”.  Le conseguenze economiche di tutto ciò sono preoccupanti: secondo l’analisi di Coleman Parkes Research, il giro d’affari potenziale e non concretizzato dalle imprese europee di dimensioni intermedie ammonta a 433 miliardi di euro all’anno, che si traducono in 5,7 milioni di euro ad azienda.

 

 

Come reagire? La prima considerazione di Ricoh e Coleman Parkes è l’opportunità di un alleggerimento delle stringhe normative che attualmente imbrigliano l’azione di molte realtà, quando di contro le startup risultano molto più libere di agire, meno vincolate da scadenze e obblighi di compliance. Anche le aziende stesse possono prendere in mano la situazione, cercando di dare priorità all’innovazione tecnologica e a tutto ciò che può aiutarle a generare efficienze e a velocizzare i processi. Le applicazioni mobile in dotazione ai dipendenti e il cloud, per esempio.

 

Tag: pmi, innovazione, europa, indagine, ricerca, aziende, Ricoh, digital transformation, Coleman Parkes

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