24/10/2017 di Redazione

Microsoft fa pace con il governo, limiti alla “regola del silenzio”

La società di Redmond ha ritirato la causa avviata l'anno scorso contro Department of Justice statunitense: si contestava la frequenza delle richieste di accesso ai dati accompagnate dal divieto di notifica. Le nuove linee guida appena varate, invece, pre

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Una bandiera bianca sventola sul campo di battaglia della privacy, dove fino a ieri si fronteggiavano Microsoft e il governo statunitese. La società di Redmond ha ritirato la causa avviata nel maggio 2016 in un tribunale di Seattle contro il Department of Justice, accusato di violare due principi costituzionali, ovvero la libertà di parola e il diritto dei cittadini e delle aziende a sapere di essere oggetto di un’investigazione. Ne abbiamo sentito parlare tanto negli ultimi anni: per ragioni di indagine e di sicurezza, dalla lotta al terrorismo in giù, organismi come l'Nsa, l'Fbi, altri enti governativi e forze dell'ordine possono chiedere alle società che gestiscono dati (per esempio, ai fornitori di servizi di email e di cloud computing) di avere accesso a informazioni di privati cittadini e di aziende. E se la segretezza serve a garantire il buon esito delle indagini, a evitare la manomissione dei dati o la fuga del sospetto, allora all'obbligo di notifica si può sostituire l'obbligo del silenzio.

 

Nel documento legale Microsoft contestava non il principio in sé, ma la frequenza delle richieste di accesso ai dati accompagnate dal divieto di informare le persone o aziende oggetto di indagine. Delle 2.576 richieste indirizzate a Microsoft dal governo statunitense nell'arco di un anno e mezzo, ben il 68% prevedeva la “regola del silenzio”. Un abuso ingiustificato di un diritto che ha senso solo in alcune circostanze, e che altrimenti diventa violazione della privacy.

 

Ora l'azienda di Satya Nadella fa marcia indietro ritirando la causa, all'indomani del varo di nuove linee guida del Dipartimento di Giustizia in materia di accesso ai dati personali e trasparenza. D'ora in poi, il divieto di comunicare agli interessati l'avvio di indagini governative o di forze dell'ordine non potrà più essere imposto ai provider di servizi tecnologici, o meglio non si potrà più abusare di questa pratica. La regola del silenzio potrà applicarsi solo in circostanze di effettiva necessità: chi indaga dovrà prima valutare caso per caso se davvero una notifica possa compromettere l'esito delle investigazioni. Il divieto di notifica, inoltre, sarà limitato al periodo delle indagini.

 

 

 

 

 

Questo è un passo importante sia per la privacy, sia per la libertà di espressione”, ha dichiarato in un blogpost il presidente e chief legal oficer di Microsoft, Brad Smith. “È una vittoria inequivocabile per i nostri clienti e siamo felici che il Dipartimento di Giustizia abbia intrapreso questi passi per proteggere i diritti costituzionali di tutti gli americani”. Microsoft, tuttavia, non è ancora pienamente soddisfatta. Come spiegato da Smith, l'azienda continuerà a fare pressione affinché venga modificata la legge che regola l'accesso da parte del governo ai dati in forma elettronica dei cittadini: una legge risalente al 1986, che è eufemistico definire obsoleta.

 

Al cambiare delle tecnologie, ribadisce Microsoft, le normative vanno aggiornate negli aspetti pratici e procedurali, preservando però un diritto alla privacy e alla trasparenza che deve valere allo stesso modo per i dati conservati nel cloud. La società madre di Windows e di Azure chiede, inoltre, al Congresso di approvare una nuova legge che limiti a 90 giorni il periodo massimo di “obbligo del silenzio”.

 

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