20/06/2011 di Redazione

Net economy e Pil: Italia sotto la media. Perchè?

Dall’ITU arriva un nuovo monito che riafferma il principio secondo cui più un Paese è dotata di banda larga più la sua economia prospera. Nel Belpaese il giro d’affari di Internet vale oltre 31 miliardi di euro e rappresenta il 2% del prodotto interno lor

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Un recentissimo studio realizzato dall’Itu, l’agenzia per le telecomunicazioni dell’Uno, si riafferma il fatto che sussiste un rapporto diretto fra penetrazione della banda larga e crescita economica. Il broadband, in altre parole, può stimolare lo sviluppo delle economie e facilitare la creazione di posti di lavoro, a condizione che i governi facciano il loro sottoforma di attuazione di progetti coordinati su scala nazionale per garantire la copertura universale, a costi accessibili, dell’accesso ad Internet ad alta velocità.

L'economia di Internet è destinata a incidere sempre più significativamente sul prodotto interno lordo


Fin qui nulla di nuovo e anche il cappello redatto dall’Onu per presentare lo studio – “…per ottimizzare i benefici per l’intera società, occorre promuovere la concorrenza basata sulle infrastrutture e attuando politiche che incoraggiano i service provider a offrire l'accesso a condizioni di mercato eque... e ci deve essere un impegno unico e armonizzato tra tutti i settori dell'industria, dell’amministrazione pubblica e dell’economia…” – non è certo troppo originale.

Uno studio condotto dall’Itu e pubblicato il mese scorso ha mostrato che in media i consumatori stanno pagando il 50% in meno per le connessioni a Internet ad alta velocità rispetto a due anni fa, ma questa riduzione è dovuta principalmente al calo dei prezzi nei Paesi industrializzati, mentre resta elevato il costo della della banda larga nei Paesi in via di sviluppo, specialmente in Africa.

Il dato che segue, invece, è molto concreto ed esemplificativo: in Cina ogni 10% di aumento della penetrazione della banda larga potrebbe contribuire a un’ulteriore crescita del 2,5% del prodotto interno lordo (il dato scende all’1,4% per i Paesi con reddito medio-basso). Maggiore è la penetrazione della banda larga, maggiori sono i miglioramenti in termini di Pil. Più è diffuso e poco costoso l’accesso alla banda larga, più vantaggi ci sono per l’economia di un Paese e le sue prospettive di crescita. La sintesi dipinta da Hamadoun Touré, segretario generale dell’Itu, non ha bisogno di particolari altri commenti.

Il problema, grande e spinoso, è casomai di tipo geografico: gli utenti dei 31 paesi industrializzati pagano in media solo l'equivalente dell’1% o meno del reddito medio mensile per una connessione base alla banda larga. In 19 Paesi in via di sviluppo, invece, una connessione brodband costa più del 100% del reddito nazionale lordo mensile pro capite.

Ma torniamo al rapporto fra Pil e banda larga. Secondo McKinsey, Internet e le attività ad esso correlate, pesano più del settore agricolo e di quello dell’education per i Paesi del G8 e cinque altre grandi economie mondiali (Brasile, Cina, India, Corea del Sud e Svezia). In termini numerici in questi 13 Paesi la “net economy” ha prodotto mediamente il 3,4% del Pil. McKinsey ha anche calcolato, che, nonostante la crisi globale, il Web ha generato il 21% della crescita economica degli ultimi cinque anni in nove dei 13 Paesi studiati (esclusi Brasile, Cina, India e Russia) e con la diffusione del  cloud il trend di crescita è destinato a proseguire almeno a tutto il 2015.


L’Italia? Naturalmente di questa lista fa parte ma altrettanto scontatamente è fanalino di coda, sia nella “Internet leadership” (dove è in undicesima posizione, davanti solo a Russia e Brasile) che nella creazione di un virtuoso ecosistema digitale (dove siamo penultimi, prima del Brasile). Il confronto fra i cosiddetti Paesi avanzati europei e il nostro è impietoso. La quota di prodotto interno lordo generata dall’economia digitale è del 6,3% in Svezia, del 5,4% in Gran Bretagna e del 3,2% in Francia. Il dato italiano lo si può derivare dalla ricerca commissionata da Google a The Boston Consulting Group: l’Internet economy ha prodotto nel 2010 31,6 miliari di euro, di cui 17,4 miliardi attribuibili alla componente “consumo”. In ogni caso una cifra pari al 2% del Pil ed espressione di una crescita del 10% rispetto ai 28,8 miliardi di euro del 2009.

Se si considerano anche il valore dell’e-procurement della Pubblica Amministrazione (7 miliardi di euro) e il valore delle merci cercate online e poi acquistate offline (il cosiddetto pari a 17 miliardi di euro), il totale dell’impatto diretto e indiretto di Internet sull’economia italiana ha raggiunto nel 2010 raggiunge i 56 miliardi di euro. Una discreta somma, non c’è che dire.

La ricerca dice anche che tale percentuale potrebbe passare, nella migliore delle ipotesi, al 4,3% nel 2015 (77 miliardi di euro) e nello stesso anno, considerando Internet alla stregua di un settore, potrebbe contribuire al 15% della crescita del prodotto interno lordo italiano. E, ciliegina sulla torta, per ogni euro di crescita del Pil italiano da qui al 2015, in media 15 centesimi saranno riconducibili all’espansione della Net economy. Sulla carta tutto perfetto. Peccato che oggi siamo nel 2011, il gap fra l’Italia e gli altri Paesi lo descrive chiaramente il quadro tracciato da McKinsey e all’orizzonte non si vedono segnali che inducono a pensare che il digital divide sarà del tutto abbattuto, che trovino modo di svilupparsi a dovere e che dallo Stato arrivino i fondi necessari a dare al Paese le infrastrutture, vedi le reti a banda larga di nuova generazione, che servono.




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