03/11/2017 di Redazione

Non solo Hillary Clinton nella lista nera degli hacker russi

La campagna di disinformazione e spionaggio condotta prima e durante la campagna elettorale per le presidenziali Usa è stata più ampia di quanto si pensasse. A detta di Associated Press, ha coinvolto oppositori politici, il presidente ucraino, persone vic

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Che cosa hanno in comune i clerici del Vaticano e il gruppo punk Pussy Riot? Entrambi, insieme ai titolari di circa 4.700 caselle di posta elettronica Gmail, hanno subito tentativi di attacco informatico e di furto dati da parte dei famigerati hacker (se così vogliamo chiamarli) dell'affare Russiagate. A loro, o comunque a persone appartenenti alla medesima rete di cyberspionaggio e probabilmente legate al Cremlino, si deve un'attività crybercriminale molto più estesa di quanto non si pensasse fino a ieri. Proprio nei giorni in cui negli Stati Uniti rappresentati di Facebook, Google e Twitter stanno rispondendo alle interrogazioni parlamentari sulla vicenda, una lunga anlisi di Associated Press fa luce su una campagna hacker che pare, a questo punto, non essersi certo limitata a bersagliare Hillary Clinton e il suo partito.

La prima fonte di questa scoperta è Secureworks, società di sicurezza informatica che ha casualmente (durante un'indagine su un'operazione di phishing del gruppo Fancy Bear) un database contenente 19mila link a pagine contenenti malware, oltre a centinaia di indirizzi di posta elettronica e informazioni relative ai bersagli. L'archivio, confezionato fra il marzo del 2015 e il maggio del 2016, è una prova quasi inequivocabile dell'esistenza di un collegamento diretto fra gli hacker e gli indirizzi email personali “fuoriusciti” nelle fasi finali della competizione elettorale Usa (fra cui quello di John Podesta, che gestiva la campagna di Hillary Clinton, e quelli di centinaia di sostenitori del partito democratico).

L'archivio conteneva, però, anche indirizzi di attivisti politici oppositori di Vladimir Putin (come Maria Alekhina delle Pusst Riot), ufficiali del governo ucraino, rappresentanti del Vaticano residenti in Ucraina, giornalisti, avvocati e complessivamente obiettivi dislocati in 116 Paesi del mondo. Una vera e propria “lista dei desideri” per chi, dal Cremlino, ha cercato di influenzare gli equilibri politici mondiali. Nella sola Ucraina si contano 545 bersagli, fra cui il presidente Petro Poroshenko e sui figlio Alexei.

 

I Paesi più colpiti, sulla base dell'archivio trovato da Secureworks (Fonte: Associated Press)

 

A dispetto delle smentite del governo russo, gli esperti di cybersicurezza non mostrano dubbi sul collegamento diretto del Cremlino con le attività di spionaggio di questo database. Andras Racz, professore dell'Università Cattolica Pázmány Péter di Budapest esperto in politica dell'Est Europa, ha detto di non avere dubbi in proposito e similmente Keir Giles, direttore del Conflict Studies Research Center di Cambridge, ha definito l'archivio come “una lista di tutti quanti gli individui che la Russia aveva interesse a spiare, mettere in imbarazzo, discreditare o far tacere”. “Difficile immaginare un qualsiasi altro Paese che possa aver avuto interesse nell'attività di queste persone”, ha sottolineato invece Michael Kofman, esperto di politica militare russa del Woodrow Wilson International Center di Washington, anch'egli finito nel libro nero degli hacker.

I nuovi dettagli sul Russiagate giungono a poca distanza dai numeri riportati da Facebook nel dossier presentato alla commissione parlamentare Usa nei giorni scorsi. I circa 80mila post sponsorizzati, acquistati da tremila “confezionatori di bufale” russi per influenzare l'opinione pubblica a favore di Donald Trump, sarebbero stati letti da 126 milioni di cittadini statunitensi. E a tutto ciò vanno aggiunti circa 120mila post su Instagram.

 

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