06/06/2018 di Redazione

Nuovo colpo su Facebook, dati passati a Huawei e cinesi

Le cinesi Huawei, Lenovo, Oppo e Tcl avevano un accordo di “accesso privilegiato” ai dati del social network. A detta di Facebook, solo per migliorare il funzionamento degli smartphone. Intanto un tribunale stabilisce nuove responsabilità per admin delle

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Si potrà mai smettere di parlare delle violazioni di privacy, vere o presunte, operate da Facebook? Per il momento no, essendo appena sbocciata l'ennesima polemica: il social network avrebbe concesso a Huawei, Lenovo, Oppo e Tcl un “accesso privilegiato” ai dati degli utenti, sulla base di accordi siglati nel 2010. E il fatto preoccupa non poco le agenzie di intelligence statunitensi, come Fbi e Cia, per cui gli smartphone di Huawei rappresenterebbero un potenziale veicolo di cyberspionaggio. Dopo le indiscrezioni del New York Times dei giorni scorsi, secondo le quali l'azienda di Mark Zuckerberg avrebbe avuto accordi simili con una sessantina di produttori di dispositivi, da Menlo Park sono giunte una parziale conferma e qualche precisazione.

Sì, è vero, esistevano accordi in base ai quali le quattro cinesi potevano conservare alcuni dati, come gli aggiornamenti di status, i like, le informazioni su studi, posizione lavorativa e sentimentale degli iscritti a Facebook. Per quanto riguarda Huawei, se non altro, questi dati restavano poi custoditi sui dispositivi degli utenti e non sui server della società di Shenzen. L'accordo con quello che è attualmente il terzo produttore mondiale di smartphone, inoltre, è in via di risoluzione (si può supporre che lo sia anche alla luce delle riserve espresse da Fbi e Cia).

Ma perché tutto questo? Francisco Varela, vice president di Facebook, ha parlato di “integrazioni” tra la piattaforma social e Huawei, Lenovo, Oppo e Tcl, tese a poter inserire nei telefoni alcune funzionalità di messaggistica, accesso ai contatti e via dicendo. Tali integrazioni, ha sottolineato Varela, sarebbero state “controllate fin dall'inizio”.

Forse queste rassicurazioni non bastano però in un Paese dove un colosso delle telecomunicazioni come AT&T ha deciso, dallo scorso gennaio, di non commercializzare il P20 e altri nuovi modelli del marchio rivale di Apple e Samsung. Un Paese dove ancora nel 2012, in un report della commissione legislativa House Intelligence Committee, con qualche eco di maccartismo si esprimevano preoccupazioni su una “stretta relazione fra il Partito Comunista Cinese e il produttore di dispositivi Huawei”. Le relazioni sono forse inevitabili, considerata la natura statalista e accentratrice dell'economia cinese, e considerato il peso di Huawei nei mercati tecnologici.

Dopo la denuncia del New York Times, la società si era premurata di ricordare la “fiducia di governi e clienti in 170 Paesi del mondo” di cui gode e il fatto di non costituire “ una minaccia per la cybersecurity più elevata rispetto a qualunque altro produttore del settore Ict”. Più che su Huawei, in ogni caso, il contraccolpo mediatico ricade forse su Facebook, la cui popolarità risultava già acciaccata dopo il caso di Cambridge Analytica.

 

 

 

In attesa di capire se ci saranno conseguenze, dall'Europa giunge un'altra notizia che interessa gli utenti del social network, o meglio gli amministratori delle Pagine. Una sentenza della Corte Ue ha stabilito che costoro vanno considerati corresponsabili, insieme a Facebook, del trattamento dei dati degli utenti: è quindi obbligatorio informare i visitatori della pagina nel caso quest'ultima raccolga dei cookie, come avviene se l'admin ha attivato lo strumento “Insights”. Quest'ultimo permette di registrare informazioni su comportamenti e preferenze dei profili Facebook, identificati da un codice unico, attraverso dei cookie che vengono conservati per due anni sui Pc, tablet e smartphone degli utenti.

La decisione della Corte ha messo il sigillo al caso che vedeva imputata l'accademia tedesca Wirtschaftsakademie: dal 2011 l'autorità di vigilanza regionale per la protezione dei dati personali del Land dello Schleswig-Holstein aveva chiesto di disattivare la sua fanpage, su cui gli utenti venivano osservati tramite cookie a loro insaputa. Mentre la Wirtschaftsakademie aveva scaricato la responsabilità sul social network, la sentenza di questa settimana ha stabilito che l'onere è condiviso.

Aggiornamento: Alla luce delle notizie circolate fra ieri e oggi, Huawei ha voluto sottolineare che “Come tutti I principali produttori di smartphone, Huawei ha lavorato insieme a Facebook per rendere i suoi servizi maggiormente fruibili da parte degli utenti. Huawei non ha mai raccolto né archiviato alcun dato degli utenti di Facebook”.

 

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