07/06/2016 di Redazione

Pagamenti digitali: alle banche serve una strategia anche tecnologica

Entro il gennaio del 2018 gli Stati dell’Unione Europea dovranno recepire la direttiva Psd2, sui servizi di pagamento nel mercato interno. Secondo una ricerca di Ca Technologies, in riferimento alle Api solo il 14% delle organizzazioni ha introdotto eleme

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Il mondo dei pagamenti è in fermento, grazie alla spinta della tecnologia e a quella delle normative. E alle aziende – banche in primis – conviene essere pronte al cambiamento. “La transazione non è più il fulcro del processo, il cliente è al centro”, come spiega Fabrizio Tittarelli, chief technology officer di Ca Technologies. “Intorno a lui ruotano carte di credito, banche, dispositivi wearable, mobile, Iot, merchant di e-commerce e TPP.  La normativa sta rinnovando il mondo dei pagamenti, ma è anche stata favorita dal cambiamento molto rapido della tecnologia”. La normativa a cui fa riferimento Tittarelli è riassunta in una sigla, Psd2, ovvero la direttiva Ue 2015/2366/ sui servizi di pagamento nel mercato interno, entrata in vigore all’inizio di quest’anno con l’indicazione di dover essere recepita dalle legislazioni nazionali degli Stati membri entro il 13 gennaio del 2018. Lo scopo della direttiva è quello di promuovere lo sviluppo di un mercato interno dei pagamenti al dettaglio più efficiente, sicuro e competitivo, che sfrutti quindi la tecnologia per creare nuovi servizi ma anche per proteggere i dati degli utenti.

Quella che per i non addetti ai lavori può apparire come una semplice sigla è in realtà, come dicevamo, il segno di un cambiamento in corso da tempo. Le procedure devono essere più digitali, veloci, sicure. Con l’emergere di nuovi soggetti che si fanno carico dei processi di pagamento, quali Fintech, retailer (come, nel Regno Unito, Tesco), startup e third party provider, ecco che le banche si trovano costrette a condividere con l’esterno uno dei loro asset principale, cioè i dati.

In nessun passaggio della Psd2 si parla di applicazioni tecnologiche, né di come realizzarle. Eppure la tecnologia avrà un ruolo fondamentale da qui allo scoccare del 2018, quando gli stati dell’Unione Europea saranno tenuti ad adeguarsi alla direttiva. È sul modello delle Api, le Application Programming Interface, che i nuovi fornitori di servizi di pagamento si stanno orientando. “Le Api”, spiega Tittarelli, “stanno diventando lo standard di fatto a cui tutti si stanno appoggiando”.

La loro importanza trascende i confini dei pagamenti digitali, riguardando più in generale la capacità di adattamento delle aziende. Basti guardare a una ricerca realizzata da Freeform Dynamics per conto di Ca Technologies, sulla base di quasi 1.500 interviste a responsabiili It e dirigenti d’azianda in area Emea, Americhe e Asia (in Italia sono state coinvolte 85 aziende): nel mondo, il 14% delle organizzazioni ha introdotto elementi di innovazione digitale significativi, classificabili come “disruptive”, mentre un 32% ha apportato alcune innovazioni meno dirompenti e un 54% di organizzazioni definite come “mainstream” ha seguito la corrente.

 

 

Nel primo gruppo rientra chi, per esempio, ha posto enfasi sui canali digitali e sul rapporto con il cliente, chi ha usato il digitale per rendere più efficiente ed efficace il core business, e chi ha sfruttato le Api per migliorare la velocità e la produttività interna. I benefici per chi innova radicalmente sono evidenti: i “digital disrupter” hanno una probabilità superiore alla media (doppia o anche, in Europa, tripla) delle altre aziende di sfruttare meglio le interfacce di programmazione applicativa, cioè di usarle per creare applicazioni Web, app mobili e sistemi di backoffice, oppure per integrare servizi di fornitori esterni all’interno delle proprie applicazioni.

Ma a che punto siamo nel percorso di implementazione di una strategia incentrata sulle Api, nel mondo bancario? Nei risultati ottenuti finora, sembra che in Italia le aziende siano più focalizzate sull’abbassamento dei costi e dei rischi associati all’it, mentre in Europa prevalgono i benefici di miglioramento della customer experience e di accelerazione dello sviluppo applicativo. Fra i Paesi del Vecchio Contenente, la ricerca mette il Regno Unito al primo posto della classifica di chi ha saputo usare con profitto le Api (il 41% degli intervistati britannici ha sostenuto di avere capacità elevate in tal senso), mentre l’Italia è al quinto posto (26% di aziende con capacità elevate).

 

Fabrizio Tittarelli, Cto di Ca Technologies

 

Più in generale i “digital disrupter” hanno dimostrato di saper tradurre meglio in vantaggi l’adozione di una strategia Api, sia diminuendo i costi e i rischi dell’It sia velocizzando il rilascio software, esplorando nuovi modelli di business, migliorando la user experience e la copertura digitale dei propri servizi. “Bisogna saper scegliere non solo una strategia e un approccio, ma anche i giusti strumenti”, rimarca il Cto di Ca Technologies.

 

Per capire quanto la normativa Psd2 piaccia o non piaccia a chi opera nel settore dei pagamenti, Ca Technologies ha condotto interviste faccia a faccia e telefoniche a 22 senior manager del mondo bancario, di servizi finanziari e Fintech. “C’è sostanziale concordanza sui benefici della Pds2”, illustra Tittarelli, “mentre le opinioni divergono sugli obiettivi da raggiungere e su quanto manchi alla meta”. Gli attori meno consolidati (o “challenge player”) hanno modelli snelli e veloci che li portano ad apprezzare tutte le potenzialità della normativa, mentre quelli consolidati pensano che sia un percorso inevitabile per cui però ci sarà da lavorare parecchio. L’impatto della trasformazione è forte soprattutto sulle banche tradizionali, per cui comporta anche dei costi, mentre operatori del Fintech e startup non hanno bisogno di stravolgere i loro modelli di business. “I problemi non sono come il vino rosso: con il tempo non migliorano. Per cui bisogna muoversi subito”, ironizza il manager di Ca Technologies.

“Gli attori del mondo dei sistemi di pagamento devono necessariamente interagire con i legislatore”, prosegue Tittarelli. “Bisogna pensarci da adesso, anche se non è detto che si debba modificare da subito i propri modelli. Le tecnologie non richiedono grandissimi tempi di implementazione, semmai è lo sviluppo applicativo che potrebbe richiedere più tempo”.

Lo studio “World Retail Banking Report 2016” pubblicato da Capgemini ed Efma conferma, nel caso ce ne fosse bisogno, che le banche non devono perdere tempo. Dalle risposte di oltre 16mila utenti di 32 Paesi e da interviste approfondite a 140 dirigenti del settore si evince che quasi due terzi dei clienti (63%) utilizzano oggi prodotti o servizi FinTech e sono propensi a consigliare a parenti e amici il proprio provider FinTech piuttosto che la propria banca (55% vs 38%).

La banche non si dichiarano certo restie al cambiamento, anzi: il 96% degli executive concorda sul fatto che il settore si stia evolvendo verso un ecosistema improntato al digital banking, in cui le Fintech giocano un ruolo rilevante. Eppure solo il 13% afferma di possedere già sistemi in grado di supportare tutto questo. C’è anche una sottovalutazione del potenziale dei servizi Fintech, dato che solo il 36% delle banche ritiene che essi garantiscano rapidità mentre fra i clienti ben l’81% delle persone riconosce questo merito.

 

 

Intanto, bisogna partire da una certezza: la voglia diffusa di poter sfruttare sistemi di pagamento digitali, agili, sicuri. Anche nello Stivale, come evidenziato da un’indagine di Doxa (commissionata dalla societù di mobile commerce Jusp): il 73% degli italiani usa le carte elettroniche come strumento di pagamento, e quasi la metà di costoro le utilizza almeno tre o quattro volte alla settimana. Nel mondo, invece, secondo un recente report di Juniper Research, quest’anno il valore delle transazioni elettroniche (online, mobile e contactless) raggiungerà quota 3,6 trilioni di dollari, crescendo del 20% rispetto ai 3 trilioni del 2015.

Restringendo l’osservazione al solo mobile payment, cioè alle transazioni eseguite tramite smartphone o tablet, Forrester Research stima che nel 2019 il volume annuo di denaro movimentato raggiungerà i 142 miliardi di dollari. Ma già oggi servizi come Apple Pay, Android Pay e Samsung Pay iniziano a poter vantare volumi interessanti: per l’alternativa di Cupertino si parla di circa 12 milioni di utenti attivi su base mensile, mentre la piattaforma di pagamento di Samsung e quella di Google viaggiano sui cinque milioni di utenti ciascuna.

 

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