È partita oggi la tanto attesa e discussa rivoluzione dei domini Internet. L’Icaan (Internet Corporation for Assigned Names and Numbers), l’organismo che gestisce a livello mondiale (tramite varie società partner) l’assegnazione degli indirizzi Internet, ha dato semaforo verde oggi a mezzogiorno alle proposte di registrazione dei cosiddetti Top level domain (domini di primo livello) da affiancare a quelli tradizionali quali .com, .net o .info. Minime le restrizioni previste, che riguardano soprattutto questioni tecniche come ad esempio la presenza di numeri.
Domini Internet di primo livello: scattata oggi la liberalizzazione voluta dall'Icaan
Fino a tutto il 12 aprile si potrà dunque depositare presso i registrar
locali le richieste per ottenere un dominio del tutto personalizzato o
quasi, recante per esempio il nome dell’azienda e del progetto cui fa
capo il nuovo indirizzo Internet. Per l’Icaan la svolta è vincente
soprattutto dal lato economico, visto e considerato che incasserà 185
mila dollari, circa 145 mila euro al cambio attuale, per ogni nuovo
dominio registrato, cui vanno aggiunti altri 25mila dollari l’anno per
il mantenimento. Evitare che il proprio marchio, e il discorso non vale
ovviamente solo per le multinazionali, eviti fenomeni di cybersquatting
ha quindi dei costi non proprio alla portata di tutti.
Un
terzo di questa cifra, ha precisato subito l'ente non profit, saranno
accantonati in un fonde per coprire le eventuali spese legali di
procedimenti che possano scaturire da controversie legate a chi registra
i nomi di dominio, mentre un'altra parte verrà impiegata per la "due
diligence" necessaria a capire se effettivamente i soggetti che vogliono
registrare i nomi di dominio ne abbiano effettivamente i requisiti.
Da parte delle aziende, in ogni caso, si è levato comunque un coro di proteste. Una cinquantina di grandi compagnie a livello internazionale – fra cui spiccano Coca-Cola, General Electric, American Express, Johnson & Johnson e Ford - si sono opposte, per altro senza ottenere risultati, alla riforma voluta e ratificata dall’Icann, ritenendola foriera di confusione (chi, per esempio, ha diritto di utilizzare come suffisso che è contemporaneamente un marchio commerciale e il nome di una città?) e di un vistoso aumento dei costi. L’Association of National Advertisers americana è andata invece oltre il provvedimento, suggerendo di aprire una lista “do not sell” per evitare che le aziende debbano comprare domini per ragioni sostanzialmente “difensive”.
Da qui la presa di posizione ufficiale del direttore generale dell’Icann Rod Beckstrom, secondo cui sarà resa pubblica la lista dei soggetti che hanno presentato domanda per i nuovi domini e le infrazioni di marchi depositati saranno trattate in via prioritaria, con la chiusura dei siti giudicati abusivi.
Dall’ente che gestisce i domini si professa in buona sostanza un nuovo passo fondamentale verso la totale “internazionalizzazione” di Internet, considerando la validità di nomi di dominio anche in lingue che non utilizzano l’alfabeto latino come il cinese, il cirillico o l’arabo e la possibilità di indire un’asta per dipanare eventuali contenziosi. Di parare opposto vari legislatori e regolatori (soprattutto americani, a cominciare dalla Federal Trade Commission), che hanno espresso dubbi e chiesto di limitare o almeno posticipare l’avvio delle nuove estensioni. Ad oggi erano 22 i domini di primo livello disponibili, cui se ne aggiungevano altri 250 di livello nazionale (come .it, .uk e via dicendo). D’ora in avanti sarà molto più arduo contarli.