15/04/2019 di Redazione

Riforma del copyright, disco verde finale dal Consiglio Ue

L’Italia ha votato contro insieme ad altri cinque Paesi. La Germania ha fatto pressione per ridurre il rischio di strumenti di censura. Dopo la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale gli Stati membri avranno 24 mesi di tempo per recepire la direttiva.

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Il Consiglio dell’Unione europea ha approvato in via definitiva la riforma del copyright della Ue, la quale supera così l’ultimo scoglio. Come annunciato alla vigilia del voto, l’Italia ha espresso parere contrario all’adozione della direttiva, seguita da Paesi Bassi, Svezia, Finlandia, Lussemburgo e Polonia. Belgio, Slovenia ed Estonia si sono invece astenuti. Si attende quindi ora la pubblicazione del testo in Gazzetta Ufficiale. Dopodiché, la palla passerà agli stati membri dell’Unione europea, che avranno due anni di tempo per recepire la direttiva. Il voto di oggi a Bruxelles, seppur necessario, ha rappresentato di fatto una formalità burocratica: la riforma del copyright era infatti stata inserita all’ordine del giorno come “punto A”, vale a dire senza possibilità di discussioni aggiuntive.

Ma la riunione odierna ha avuto comunque le sue sorprese. La Germania, per esempio, ha fatto mettere a verbale la richiesta formale alla Commissione di fare pressione per evitare l’integrazione di filtri sui contenuti caricati online per ridurre le possibilità di censura. “Possiamo contare su un testo bilanciato, che mette al centro cittadini e creativi e introduce regole chiare per le piattaforme del Web”, ha spiegato Helen Smith, presidente dell’Independent Music Companies Association (Impala), l'associazione dei produttori europei di musica indipendente.

Le nuove norme sul diritto d’autore sono state approvate dall’europarlamento a fine marzo, dopo quasi tre anni di discussioni e polemiche soprattutto su un paio di punti che riguardavano i contenuti caricati dagli utenti sul Web e il rapporto tra colossi di Internet ed editori. Su questo secondo punto la riforma prevede la possibilità, ma non l’obbligo, di una contrattazione tra publisher e piattaforme per il pagamento dei contenuti pubblicati. I ricavi andranno condivisi direttamente con i creatori, come per esempio i giornalisti.

 

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