Stasera alle 18 Paolo Romani, sottosegretario incaricato alle Comunicazioni, incontra al ministero dello Sviluppo economico, quasi tutti i protagonisti delle telecomunicazioni nazionali. Da ultimo si sono aggiunti BT e 3Italia. Anche numerosi operatori "minori" avevano chiesto di esserci perché, alla fin fine, anche loro hanno un proprio backbone-network spesso realizzato in fibra, e vogliono sapre dove soffia il vento.
Ultimo in ordine di tempo è Assoprovider che, prima ancora di sedersi a qualsiasi tavolo, spara a pallettoni su Franco Bernabé, ad di Telecom Italia, e sue recenti affermazioni.
Un aggiornamento di ciò che è emerso dalla riunione è qui: Romani e il misterioso Piano Italia Digitale.
Ricapitoliamo alcuni punti prima di profetizzare che cosa uscirà questa sera dal "tavolo Romani".
Il tema, si sa, è che diavolo conta di fare il Governo di fronte alla proposta di Rete per l'Italia (Vodafone, Fastweb, Wind e, da ultimo, anche Tiscali) per costruire la Next Generation Network per la banda ultralarga del prossimo ventennio in 15 città. La richiesta più dura messa sul tavolo dai Tre è: il Governo deve aiutarci nell'obbligare gli utenti delle aree man mano cablate in fibra a lasciare il rame (di Telecom Italia) e sposare unicamente la fibra.
Paolo Romani, viceministro allo Sviluppo Economico incaricato delle Comunicazioni
Al tavolo si siede anche
Telecom Italia che continua a sostenere alcuni principi invalicabili.
Li riassumo a modo mio:
-
il mio network è mio e lo gestisco io. Ne sto costruendo uno di nuova generazione con i soldi miei e non ho nessuna intenzione di condividere niente con nessuno se parliamo di fibra e solo ciò che indica il Regolatore per quanto riguarda il rame; che per altro avrà ancora una vita utile lunga, anzi lunghissima. Ho già fibra dovunque e Roma e Milano con molti palazzi con la fibra nell'appartamento. Se gli altri vogliono fare lo stesso, lo facciano. Io la mia fibra la uso io come pare a me.
- l'attuale utilizzo della rete a banda larga, da 1 a 7 megabit al secondo, non è neanche minimamente saturata. Noi non abbiamo nessuna premura di correre verso la fibra poiché non c'è nessuna evidenza che serva fare in fretta perché non ci sono ritorni economici sicuri.
Il discorso del "digital divide", ossia del dare connettività a chi non ce l'ha e vive nelle aree a "fallimento economico"
non c'entra sostanzialmente niente con la banda ultralarga.
In realtà, però, le cose sono molto intrecciate con cose molto più terra terra.
Gira e rigira ciò di cui si parla ha a che fare col cemento, le
scavatrici di trincee, i tubi e che cosa ci si mette dentro.
Ecco, infatti, Assoprovider che propone il proprio punto di vista che
mira dritto al sottoterra.
" I cavidotti devono essere condivisi perché non sono replicabili e le
fibre devono essere condivise ovunque i cavidotti siano o divengano
pieni".
E ancora: "un cavidotto insiste su un qualcosa che non è mai di
proprietà di chi lo realizza o lo gestisce, ma è della collettività.
Parimenti gli edifici che contengono le terminazioni delle fibre delle
utenze (Rete di Accesso) devono essere condivisi perché non sono
replicabili per ovvi motivi.
La gestione delle risorse edili non ha alcun senso che sia nelle mani
delle TLC le quali devono occuparsi di commutazione elettronica e non di
fare gli immobiliaristi (su suolo pubblico) e pertanto gli unici
deputati alla gestione del suolo pubblico sono i cittadini".
Nel frattempo, però, nonostante le leggi abbiano stabilito che per
scavare trincee Tlc per la fibra vale il principio del "silenzio
assenso" e il diritto-possibilità di utilizzare le infrastrutture civili
esistenti di proprietà pubblica o affidata a "concessionari pubblici"
senza dover pagare oneri (a meno che uno rompa e allora deve riparare i
guasti). Nonostante ciò, come s'è detto, non è che si faccia a gomitate
per mettere fibra nelle fognature. Gli utenti sono per la maggior parte
nelle mani e sul rame di Telecom Italia ed è difficile che, se non
saranno costretti, passino alla fibra di un competitor se continuerà ad
avere la scelta di continuare a usare il rame.
Insomma, se arriva la fibra in un palazzo o in un quartiere, o tutti i
cittadini e le imprese passano sulla fibra o chi ha fatto gli scavi e
riempito i tubi di fibra non rientrerà mai dagli investimenti se il rame
continuerà a fargli concorrenza. Da cui la necessità di trovare un
accordo con Telecom Italia che, in un mondo ideale, dovrebbe essere così
magnanima da sacrificare il proprio asset principale, la rete in rame,
per trasformarsi in generico competitor tra gli altri competitor.
Tra le ipotesi, si ricorderà, c'è quella di una società nuova che
costruisca una rete con la fibra singola fino agli appartamenti (è
l'orientamento tecnologico della Unione Europea), ricompri con equo
compenso la fibra da chi ce l'ha, uniformi le tecnologie e gli standard,
venda il servizio di connettività a tutti gli operatori che
competeranno sui servizi. Di questa nuova società la Cassa depositi e
Prestiti dovrebbe essere il principale finanziatore. Ma Franco
Bassanini, presidente della CDP, diceva di non essere stato invitato al
"Tavolo Romani".
Come si vede la materia è un intrico inestricabile e di difficile
sbrogliamento.
Che cosa uscirà quindi questa sera dal "Tavolo Romani"?
Assolutamente niente. Perché? Perché Romani non ha neanche una lira da
mettere sul tavolo. I protagonisti si alzeranno tra mille sorrisi e
salamelecchi ma con un niente di fatto.
Dal Tavolo Romani sulla NGN ci si alzerà per... impraticabilità di campo
Forse qualche indirizzo e orientamento più utile e chiaro verrà
dall'
AgCom che nei primi giorni di luglio fornirà i propri suggerimenti
al Parlamento affinché disponga un quadro normativo che faciliti la
concorrenza sulla NGN, riconosca a Telecom Italia i suoi diritti,
stabilisca con ancor più chiarezza i principi di salvaguardia degli
interessi della generalità dei cittadini e coerenti con l'Agenda
Digitale della Comunità Europea. Se la politica ne comprenderà
l'urgenza, ne farà tesoro e le trasformerà con celerità in leggi.
Lasciando al mercato che le cose accadano.