22/09/2011 di Redazione

Schmidt difende Google col cuore, ma non basta

Eric Schmidt ha cercato di difendere la compagnia di Mountain View dalle accuse dei senatori della Commissione Giustizia del Senato americano. Il compito è riuscito solo a metà: le risposte non sono state sempre esaustive. E Big G potrebbe ora trovarsi pr

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Come preannunciato, ieri Eric Schmidt si è presentato davanti alla Commissione Giustizia del Senato americano per rispondere alle domande dei sentori riguardo alle attività di Google, e in particolare al funzionamento del motore di ricerca, che secondo le accuse valorizzerebbe i risultati dei servizi interni approfittando della posizione dominante dell'azienda.

La minaccia che doveva cercare di dissipare Schmidt era quella di una inchiesta formale sulla posizione di abuso di posizione dominante di Google, compito che è riuscito solo marginalmente: i senatori hanno martoriato l'ex AD con domande pungenti che non sempre hanno ricevuto risposte esaustive, per questo è verosimile che l'azienda di Mountain View sia sempre più vicina a un'accusa formale.

Eric Schmidt davanti alla Commissione Giustizia del Senato degli Stati Uniti

Ad affondare uno dei colpi più bassi è stato il senatore Herb Kohl, democratico del Wisconsin che in passato ha spesso messo in discussione le tattiche di Google. In qualità di Presidente della commissione antitrust ha chiesto a Schmidt se concordasse sul fatto che la quota di mercato di Google le conferisca una posizione dominante, e pertanto il potere speciale proprio delle aziende che godono di un monopolio.

Schmidt ha risposto che concorda, quindi tacitamente ha accettato il fatto che si conduca una indagine sull'operato dell'azienda. Ricordiamo che secondo la legge statunitense non c'è nulla di illegale nell'avere un monopolio, ma nel momento in cui l'azienda lo dichiara ufficialmente è soggetta alle leggi antitrust, quindi non può utilizzare il suo monopolio per sfruttare la sua posizione dominante in altre attività.

Diversi senatori hanno poi accusato Google di usare la sua posizione dominante per manipolare i risultati delle ricerche e avvantaggiare i suoi servizi ai danni di quelli dei concorrenti. In particolare, il senatore Mike Lee, repubblicano dello Utah che in occasione dell'acquisizione di ITA Software aveva espresso la sua preoccupazione per l'atteggiamento di Google, ha mostrato un grafico che dimostrerebbe che nei risultati dei suggerimenti commerciali nelle pagine di ricerca Google sarebbe costantemente fra i primi tre, mentre altri siti di shopping comparativo sarebbero in posizioni meno evidenti. In conclusione Lee ha accusato Google di avere "manipolato" i risultati delle ricerche.

Schmidt ha risposto negando l'ipotesi di Lee e assicurando ai membri della sottocommissione che Google "non ha manipolato proprio niente", perché ha messo a punto il motore affinché fornisca i risultati migliori in funzione delle chiavi di ricerca digitate, senza in alcun modo pilotare gli utenti verso i suoi servizi. Schmidt è poi caduto in fallo concludendo di non essere "a conoscenza di eventuali manipolazioni o di strani o pregiudizi" che favoriscano i prodotti di Google.

La risposta non è stata gradita al senatore Al Franken, democratico del Minnesota, che ha definito la risposta "confusa" e ha ribattuto: "Se non lo sa lei, chi lo sa?". A questo punto Lee non si è ritenuto soddisfatto delle risposte e ha reputato che Schmidt abbia confermato la sua "paura" che le ricerche siano condizionate.

I senatori hanno poi interrogato Schmidt in relazione alla classifica con la quale vengono visualizzate le piccole aziende. Schmidt ha ripetuto quanto detto nel suo discorso di apertura: Google sta fornendo un buon servizio per la "stragrande maggioranza" delle piccole imprese negli Stati Uniti, ma non è possibile che "ogni sito finisca in cima" perché "per ogni vincitore c'è un perdente."

La conclusione del Presidente Kohl è stata lapidaria: "Google ha acquisito e ampliato il suo giro d'affari in molte aree diverse, compresi viaggi, video e shopping, e ora vuole offrire direttamente ai consumatori le risposte alle loro domande, non solo i link ai siti che forniscono le risposte". Del resto, ha proseguito Kohl, è difficile credere che non ci sia "un conflitto di interessi da parte di chi possiede molti servizi. È verosimile credere che un'azienda razionale cerchi di trarre il massimo profitto dai suoi investimenti, quindi perché non dovremmo aspettarci che Google favorisca i propri prodotti ?"

Schmidt ha risposto di non essere sicuro che Google sia "un'azienda razionale che cerca di massimizzare i propri profitti", ma è evidente che non è stato creduto, dato che Kohl ha rimbrottato: "Dovrebbe essere sufficiente fidarsi del fatto che Google fa la cosa giusta, sapendo che date incentivi aziendali per massimizzare il valore della vostra azienda?"

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